azione.ch
 



Crushman alla Carnegie Hall

/ 29/04/2024
Bruno Gambarotta

«Vedi di scovare quel bel tipo che si fa chiamare Crushman e di intervistarlo», mi aveva intimato il direttore del mio giornale. Una parola.

Benvenuto Graffiasanti, conosciuto come Crushman, era un celebre artista, inventore e profeta della Crushing Art. Inseguito da due mandati di comparizione, se ne stava nascosto da qualche parte. Mio zio Ettore, suo compagno di corso presso l’Accademia di Belle Arti di Torino, si ricordò che il suo amico appena poteva andava a stare in una baita d’alta montagna. Addossata alla roccia, al fondo di un altopiano. Vedendomi spuntare poco per volta dal basso, Crushman mi aveva puntato contro un tridente con l’aria di volermi infilzare. Era chiaro che scherzava. Avrebbe risposto a ogni mia domanda a due condizioni: giurare sul mio onore che mai avrei svelato il luogo dove ci eravamo incontrati e che mai avrei scattato foto.

La prima domanda è d’obbligo: «Come nasce la Crushing Art? C’è un momento preciso nel quale scocca la scintilla della creazione?»

«Sì. L’epifania, la scoperta della via che mi avrebbe condotto a generare in perfetta solitudine la Crushing Art ha una data e un luogo precisi. La data è l’aprile di 15 anni fa e il luogo è la città dell’Aquila distrutta dal terremoto. Ero in una squadra di giovani volontari incaricati di tentare di recuperare gli arredi delle chiese sotto i frammenti delle mura crollate. Su uno di questi muri era stato dipinto secoli prima un affresco, una deposizione. Quella pittura di un artista anonimo, una volta esplosa e ridotta a frammenti, prendeva ai miei occhi un rilievo immenso, cambiava di significato, diventava l’icona dell’arte del nostro tempo.»

«Ma perché quel frammento, per trasformarsi in un’opera d’arte, deve prima essere stato dipinto su un muro che poi è crollato?»

«Attenzione! Non crollato, esploso in mille frantumi. I muri crollano per il trascorrere dei secoli, per l’abbandono, si caricano di storia, talvolta diventano rovine del passato, attrazioni turistiche».

«Qual è la differenza fra il frammento di un muro crollato e quello di un muro esploso?»

«Il frammento di un muro esploso si carica di tutto il pensiero negativo, si fa gioco della nostra falsa coscienza, dell’illusione che la nostra cultura faccia parte di un sistema coerente e comprensibile».

«A una mostra dei suoi lavori come faccio ad avere la certezza che le sue opere esposte siano tutte frutto di un’esplosione e non di un crollo?»

«I miei lavori hanno un certificato di autenticità firmato da un notaio. Lo faccio assistere all’evento, mi costa un bel po’ ma ne vale la pena».

«Quel signore ferito da un frammento era dunque un notaio».

«Sì, è da lì che mi arriva il primo mandato. È colpa sua, l’avevo avvertito di non avvicinarsi troppo. Ha voluto a tutti i costi farsi un selfie. Per farlo ha dovuto voltare le spalle al rudere, così la pietra l’ha beccato sulla nuca. Se lo prendeva in fronte avrei dovuto pagargli anche il chirurgo estetico.»

«E le esplosioni? Andare in giro con della dinamite nel portabagagli non è salutare».

«Uso una bombola di gas. L’installo, l’apro, mi allontano e aziono un innesco».

«La stanno cercando anche per un altro mandato. Perché ce l’hanno con lei?».

«Mah, vallo a sapere. Forse è la solita invidia per chi ha avuto successo».

«Sui giornali parlavano di un eremita saltato per aria».

«Non era un eremita! Era un barbone che era andato a rifugiarsi durante una grandinata. Chi l’aveva mandato lì? Io no di certo.»

«Quindi lei o si consegna alle procure oppure resta qui nascosto, privato in entrambi i casi della possibilità di portare avanti le sue ricerche».

«È così. E proprio nel momento del trionfo, quando arriva l’offerta di esporre i miei lavori alla Carnegie Hall.»

Crashman si blocca, mi scruta. Dopo un lungo silenzio riprende a parlare: «Ti faccio una proposta che non puoi rifiutare. Vai tu al posto mio a New York. Ti nomino mio agente. Moltiplico per dieci la paga che ti dà il tuo giornale. In più una percentuale su ogni opera che riesci a vendere».

Non ho ancora preso una decisione. Non ho ancora spedito al giornale l’intervista. Sto riflettendo mentre sono in coda, al consolato degli Stati Uniti, a fare domanda per avere il visto sul passaporto.