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Dupe Travel, e le zone d’ombra del turismo

/ 22/04/2024
Claudio Visentin

Da quando abbiamo dimenticato libri e quaderni perché leggiamo e scriviamo in rete, inevitabilmente pensiamo anche nelle forme della cultura digitale. D’altronde già negli anni Sessanta il sociologo canadese Marshall McLuhan scriveva che il «medium è il messaggio», ovvero che nella comunicazione la struttura è più importante dei contenuti. Sarà per questo che quando si parla di viaggi si moltiplicano liste ed elenchi.

Tra gli obiettivi più ambiti troviamo «trenta prima dei trenta», ovvero visitare trenta Stati prima di aver compiuto trent’anni. O ancora vedere tutti e sette i continenti prima di avere figli, o fotografare in un solo safari in Africa i «Big Five» (leone, leopardo, rinoceronte, elefante e bufalo). Una rivista digitale americana, «Travel + Leisure», si è spinta oltre, con raccomandazioni specifiche per ogni età della vita. E così a vent’anni si consiglia il Costarica (esotico, economico, avventuroso), a trenta il Giappone (design, cultura, storia), nei decenni seguenti Perù e Galapagos; e per riposarsi, intorno ai sessanta, ben venga la dolce (e costosa) Francia, tra arte, cibo e vini. Questo modo di pensare però rende inevitabilmente superficiale il viaggio, riducendolo a un elenco da spuntare dopo aver scattato tutti le stesse foto per Instagram; soprattutto convoglia milioni di turisti in pochi luoghi generando Overtourism, il male del nostro tempo.

Se però detestate la folla, o avete risorse ridotte ma non volete rinunciare ai viaggi, potete sempre adottare la nuova filosofia Dupe Travel («viaggio doppione, rimpiazzo»). Di cosa si tratta? È la ricerca di alternative più economiche e meno battute, dove tuttavia le attrazioni sono simili all’originale. Un esempio è dato dalle spiagge delle Filippine o dell’Indonesia che non sono inferiori a quelle assai pubblicizzate della Thailandia; e alcuni sconosciuti lidi della costa turca non si sentono tuttavia da meno dei loro dirimpettai greci. A livello di Stati, il Portogallo (con notevole ottimismo) si propone al posto dell’Italia. Lo stesso naturalmente vale anche per le città e potrebbero consigliarvi Cracovia invece di Roma, Belfast al posto di Londra e Memphis per Nashville.

Soprattutto i giovani (Millennial e Generazione Z) sono incuriositi da questa prospettiva, tanto che su TikTok #dupe ha più di 6,5 miliardi di visualizzazioni. I vantaggi di questo stile di viaggio sono evidenti: risparmio (o servizi di lusso allo stesso prezzo), una migliore esperienza, un più facile contatto con i locali, il piacere della scoperta. Naturalmente il viaggio dupe non va preso troppo sul serio. Parigi o Venezia non sono facilmente surrogabili (ma potreste sempre andarci in bassa stagione). Inoltre qualcuno ha difeso anche queste seconde scelte, sottolineando come in fondo ogni destinazione abbia un suo fascino e storie da raccontare, e dunque non meritino di essere relegate al ruolo di riserve.

Naturalmente poi c’è sempre chi sceglie di uscire dai sentieri battuti. La scrittrice inglese Hilary Bradt cinquant’anni or sono ha dato il suo nome a una casa editrice di guide, l’ultima veramente indipendente dopo la cessione dei marchi più famosi a grandi gruppi. L’attività cominciò nel 1973, quando insieme al marito trovò un sentiero nascosto che dall’antica capitale Inca di Cuzco conduceva a Machu Picchu. L’anno dopo Hilary Bradt scrisse la prima guida Bradt dedicata proprio a questo cammino, su una chiatta lungo un affluente del Rio delle Amazzoni. Da allora ha scelto di raccontare solo Paesi sconosciuti al mercato turistico: Uganda, Jugoslavia, Corea del Nord, Iran, Iraq, Eritrea, Madagascar. E tuttavia proprio il suo entusiasmo per queste zone d’ombra spesso le ha aperte al turismo di massa.

Machu Picchu (Patrimonio Unesco dal 1983) oggi è soffocato dai turisti. Il Vietnam ‒ descritto dalle guide Bradt quando la guerra era finita da solo due anni e nessuno immaginava che un giorno gli americani sarebbero tornati come turisti ‒ è oggi la meta emergente nel sud-est asiatico. E l’Albania già comunista è ora di tendenza nel Mediterraneo. Questo perché l’industria del turismo insegue chi apre piste nuove e colonizza le terre un tempo percorse da pochi avventurosi. E pazienza se così il cerchio si chiude e si torna alla casella di partenza.