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«Che Belva si sente?»

/ 15/04/2024
Aldo Grasso

Belve, il programma ideato e condotto da Francesca Fagnani è tornato su Rai2 e questa volta in prima serata. La nuova stagione annunciata e lanciata con clamore a più riprese che ha visto sfilare Loredana Berté, Carla Bruni, Matteo Salvini, Francesca Cipriani, Alessandro Borghi e Fedez, ha dato come l’impressione che nella formidabile «macchina da interviste» qualcosa si sia inceppato. Come ho scritto anche sul «Corriere della Sera»: «L’unica belva è stata Loredana che si è autodefinita rissosa, pericolosa, ingestibile… Per reggere una prima serata, il programma ha dovuto un po’ virare sul varietà e questo ha fatto perdere quella secchezza necessaria all’incisività, alla perfidia, alla belluinità, che poi erano le vere prerogative della proposta».

Ovviamente, è bastato che nella seconda puntata ci fosse un’ospite come Fedez perché il programma tornasse al centro del villaggio (globale). Volenti o nolenti siamo stati tutti spettatori di questo feuilleton, «I Ferragnez», raccontato giorno dopo giorno sui social, una versione italiana del Truman Show: dalle dichiarazioni d’amore alle liti, dall’altare (il loro matrimonio in streaming) alla polvere (dopo i casi di finta beneficenza, il popolo del web si è accanito contro la diva con una violenza ferale), dalle vacanze di lusso alla separazione. Ma la soap «Ferragnez» sembra finita.

Torniamo a Belve: in principio il programma viene realizzato da Loft Produzioni, una casa di produzione legata al giornale «Il Fatto Quotidiano». Nel 2018 il programma entra nel palinsesto di Nove, canale Warner Bros. Discovery, e ci resta fino al 2019. Nel 2021 si sposta su Rai2. Gli ascolti sono buoni, crescono, ma non troppo. La cosa più sorprendente, invece, è che i dati in streaming su RaiPlay sono ottimi: un sacco di gente recupera Belve il giorno dopo o quando gli pare, secondo i canoni della total audience. Di qui, l’idea della prima serata per l’attuale stagione.

Le interviste della Fagnani, e questa è la caratteristica principale del programma, vanno oltre la superficie, un’attitudine non da poco in un universo televisivo di domande insipide e di occasioni perdute (basti pensare alle interviste di Fabio Fazio anche con personalità famose). Belve si fonda su una famosa convinzione di Elias Canetti che in Massa e potere sostiene che porre delle domande è una forma di tirannide: «La libertà della persona consiste per buona parte in una difesa dalle domande». E il gioco della trasmissione consiste proprio in questo: porre delle domande non compiacenti, come di solito si fa in tv (ma anche nei giornali), e vedere l’effetto che fa. Poi il santo montaggio sistema tutto, mette a punto il ritmo del programma. Gli ospiti che si offrono alle domande di Francesca Fagnani appartengono a due categorie: gli sprovveduti e i sicuri di sé. Ma gli uni e gli altri escono sempre sconfitti, tanto da far pensare che il genere sia uno solo: quelli cui piace apparire a ogni costo. Anche a costo di venire sbranati.

L’impianto della trasmissione, che prevede tre ospiti, si ripete di puntata in puntata: Fagnani pone domande alla persona intervistata, dandole del lei (mai del tu, perché come le ha insegnato Michele Santoro è poco elegante, indice di complicità). Nel corso dell’intervista, la giornalista fa sempre riferimento a un’agenda rossa stipata di post-it, citazioni, soprattutto di domande scritte (è raro che improvvisi una domanda). Il ritmo dell’intervista è incalzante, favorito dalla scenografia che prevede non comode poltrone ma sgabelli. La prima domanda che Fagnani rivolge all’ospite è sempre la stessa: «Che Belva si sente?». Anche l’ultima: «Se potesse riportare una persona in vita, chi sarebbe e cosa le direbbe?».

Fra i due interlocutori non si crea un dialogo, una conversazione. Le domande non nascono da un’argomentazione ma da un desiderio, spesso motivato solo dalla mimica facciale della conduttrice. Anche le risposte vengono accolte o con un sorriso o con qualche suono gutturale di perplessità.

La vera critica che viene ora rivolta alla Fagnani è di aver perso la carica aggressiva delle prime apparizioni, il graffio delle domande inaspettate, il piacere della novità. Ma è sempre così con tutte le proposte di rottura: si nasce incendiari e si finisce pompieri.