azione.ch
 



La gentilezza di madama della Casa

/ 15/04/2024
Paolo Di Stefano

Se è vero che a fare notizia non è il cane che morde l’uomo ma l’uomo che morde il cane, che dire del profluvio di articoli sulla gentilezza di Jannik Sinner? Il tennista che regge l’ombrello alla raccattapalle e chiacchiera con lei (5+). Il tennista che si siede su una sedia a rotelle e palleggia con il campione paralimpico (6). Il tennista che non rifiuta mai di regalare un autografo ai bambini (6-). D’accordo, ma non si sta esagerando con l’agiografia di san Jannik? In fondo, che cosa sta facendo di tanto eccezionale?

Semplice gentilezza è non solo tenere la porta aperta a chi ti segue, ma rispondere con garbo a una domanda, essere tolleranti con quelli che la pensano diversamente, ascoltare chi parla, soccorrere le persone che hanno bisogno di aiuto. Ora però non colpisce che colpisca la gentilezza di san Sinner, perché i gesti gentili non sono affatto ordinari. Si potrebbe precisare che è molto più facile essere gentili quando si è ricchi, vincitori e gratificati dalla vita, che quando si è perdenti e in difficoltà. Elementare, Watson.

Vi ricordate Catalano, il re delle ovvietà lapalissiane di Quelli della notte (6+)? Anche questa sarebbe un’ovvietà, se non fosse smentita quotidianamente dalla brutalità, l’arroganza, la maleducazione, dal bullismo dei potenti, dei ricchi straricchi, dei magnati, dei tycoon dell’economia e della politica che impazzano ovunque alzando la voce davanti ai microfoni.

Vi risparmio gli esempi, subito individuabili a occhio nudo. «La gentilezza è il linguaggio che il sordo può sentire e il cieco può vedere». È una frase di Mark Twain (6 all’intelligenza pura) che vale anche per la maleducazione, evidente a chiunque la voglia vedere o sentire. E però sempre più si aggiunge la beffa: in genere, la brutalità, l’insulto, la parolaccia sparata di getto da uomini (soprattutto uomini ma non solo) di potere viene ritenuta un segno di simpatica spontaneità, sincerità, uno schiaffo al balletto ipocrita del «mi scusi», «per piacere», «mi permetta»… Dimenticando che la gentilezza, ovvero il rispetto dell’altro, non si limita alla cortesia ma è l’espressione fondamentale della civilizzazione. E non è detto che non venga ripagata: «Chi sa carezzar le persone, con piccolo capitale fa grosso guadagno» scriveva monsignor Della Casa nel suo Galateo. Fatto sta che oggi la gentilezza, nella diffusa maleducazione sboccata, è l’ultima forma di resistenza quasi rivoluzionaria. Viene scambiata per espressione di civiltà la femminilizzazione della grammatica, in nome dell’inclusività.

Di recente, l’Università di Trento, per esempio, ha adottato il femminile cosiddetto «sovraesteso», sia al singolare sia al plurale, nel Regolamento generale di Ateneo. E così, anche per soggetti maschili, si parla della segretaria, della presidente, della direttrice, della professoressa, della candidata, della decana, della bibliotecaria eccetera. Dunque, se dovessi ripensare questo articolo obbedendo allo stesso criterio grammaticale, dovrei scrivere della tennista Jannik Sinner, della scrittrice Mark Twain, della madama Giovanni Della Casa? Ora, mi pare un’idiozia (2), anche se forse suggerita da buone intenzioni rivendicative (3 alle buone intenzioni). L’italiano dispone della forma maschile e della forma femminile: c’è il deputato e c’è la deputata, c’è il ministro e c’è la ministra, c’è la bibliotecaria e c’è il bibliotecario, c’è la presidente e c’è il presidente, c’è la professoressa e c’è il professore, c’è l’assessora e c’è l’assessore. Per il plurale, l’italiano dispone di un maschile generico o appunto sovraesteso, che non sarà inclusivo ma è una sorta di neutro derivato da una tradizione linguistico-culturale indubbiamente androcentrica. Essendo in uso da secoli, ha però il vantaggio di essere chiaro a tutti e la lingua non tende alla confusione ma alla chiarezza.

Ovviamente è possibile che tutto questo assetto grammaticale cambi con il mutare dei rapporti sociali, può darsi che col tempo si introduca l’asterisco (*), la chiocciolina informatica (@), lo schwa () o la u nelle forme del tipo: caru collega. Chi vivrà vedrà. Intanto, la cosa più incomprensibile e sbagliata (1) è pretendere di essere chiamata il presidente (maschile) se sei una donna, come vorrebbe la premier (e non il premier) Giorgia Meloni, che si dice fiera (fiero?) di essere la prima (il primo?) presidente del Consiglio donna. Se non si è gentili verso gli altri, in effetti, è difficile esserlo verso sé stessi.