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Lara Gut-Behrami, sedici stagioni e non sentirle

/ 08/04/2024
Giancarlo Dionisio

L’estate scorsa Lara Gut-Behrami meditava di porre fine alla sua gloriosa carriera. Sarà stato probabilmente il pensiero di pochi attimi, poiché si è ripresentata motivatissima al cancelletto di partenza dell’appuntamento inaugurale sul ghiacciaio di Sölden (Austria). Ha rivinto il gigante a distanza di dieci anni dal suo primo trionfo su quelle nevi. Nessuno meglio di lei. La sua stagione è ancora qui davanti ai nostri occhi, tutta da assaporare. Otto vittorie, una sequenza impressionante di presenze sul podio, una regolarità di risultati al top, degna di uno studio sulla robotica. Infine l’onore di alzare al cielo la grande sfera di cristallo, otto anni dopo aver conquistato la prima. Come lei, solo l’austriaca Annemarie Moser-Pröll. Quale contorno, Lara ha baciato la sua quinta Coppetta di Super Gigante, dieci anni dopo la prima, e la prima di Gigante, quella che le ha regalato le emozioni più profonde, poiché conquistata nella disciplina da tutti considerata come il fondamento dello sci alpino.

Quest’ultima stagione stellare ha sospinto i successi di Lara a quota quarantacinque, permettendole di aggiudicarsi il sesto posto nella classifica delle sciatrici più vittoriose di sempre, guidata da Mikaela Shiffrin. L’austriaca Renate Götschl, quinta, vanta un trionfo in più, e la migliore rossocrociata, Vreni Schneider, quarta, è a più dieci. Quindi: forza Lara!

Lo scorso autunno ho temuto di non più vederla al via. Quest’anno le sue dichiarazioni sono invece state più incoraggianti. Ha lasciato intendere che un’ulteriore stagione sarebbe ipotizzabile. Da goloso mi dico: perché non due, visto che nel 2026 ci sono all’orizzonte delle Olimpiadi quasi a chilometro zero? Lara sta bene. Che dico, molto bene. Non è logora fisicamente, nonostante gli incidenti, due dei quali piuttosto gravi, che le hanno pregiudicato i Giochi Olimpici di Vancouver del 2010 e i Mondiali di St. Moritz del 2017. A proposito, nello sci si vince perché si è più veloci degli avversari, ma anche perché, a volte, qualche rivale si ferisce. Fa parte del gioco. In quest’ottica, Lara ha ricevuto, ma ha anche pagato. I conti tornano.

Dal profilo mentale, la sciatrice di Comano è cresciuta anno dopo anno. Ha retto l’urto dell’onda mediatica, quando a sedici anni era una ragazzina prodigio con microfoni, taccuini e telecamere che la assalivano. Ha beneficiato della protezione di un team privato formato-famiglia, ma le è pure stata negata la possibilità di stemperare le tensioni condividendole con le altre rossocrociate che crescevano in un contesto più comunitario.

Non posso dire di conoscerla, ma posso immaginare che la sua maturazione sia figlia anche di sensibilità e intelligenza. Non è da tutti studiare mentre si è alle prese con un’estenuante stagione di allenamenti e di competizioni. Non è da tutti, a ogni trasferta, riempire la valigia di amici e consiglieri preziosi come lo possono essere i libri. Qualcuno ricorda le prime apparizioni televisive di suo marito Valon Behrami? Io sì. E posso serenamente affermare che l’ex calciatore che seguo oggi sui teleschermi, è un uomo che dispone di una notevole capacità di lettura della realtà, frutto di una maturazione costante. Credo che i due sposi si siano alimentati a vicenda, e che siano cresciuti, migliorando, come il buon vino.

Non so se i brindisi di Lara siano alcolici. Immagino di no, poiché una carriera come la sua implica anche un rigore monastico. Io però, dopo aver inviato questo articolo in redazione, un buon bicchiere me lo berrò. Alla sua salute. Con l’auspicio di rivederla a Sölden il prossimo anno, e magari anche quello successivo. Perché, piaccia o no, Lara è un nostro patrimonio, e dopo sedici anni trascorsi davanti ai teleschermi a stupirci per il suo stile, non più poterla ammirare lascerebbe un vuoto non facile da colmare.