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Il monumento Brunswick a Ginevra

/ 08/04/2024
Oliver Scharpf

La pietra ammonitica veronese di un rosa slavato, nella luce primaverile pomeridiana ai primi di aprile, domina il mausoleo neogotico sul lungolago per il duca di Brunswick (1804-1873). Tra l’hotel de la Paix e il Beau Rivage, sorti entrambi nel 1865 sul Quai du Mont-Blanc, i vari elementi di questo mausoleo fuorimisura come la balaustrata, i leoni, le chimere, la panchina, la base del sepolcro, sono scolpiti tutti in questa curiosa pietra nodulare che sembra affetta da psoriasi. «Inclassificabile» secondo Henri-Charles Tauxe in Lieux et histoires secrètes de Suisse (1980) e definito «ciofecata» da un architetto irrazionalista all’alba, secoli fa, dopo una notte brava, per il momento mi limito a osservarne i due enormi leoni nubiani guardare il lago.

Un entusiasta del monumento Brunswick (376 m) sui cui scalini – oltrepassata l’inferriata dei fratelli Moreau con fiammelle in cima – salgo adagio, se non ricordo male, era il professor Vaisse di storia dell’arte. Inaugurato nell’ottobre del 1879 in contrasto assoluto con l’austerità calvinista, se non altro, ogni volta, mi diverto a cercare sulle sue superfici, le ammoniti. Molluschi cefalopodi estinti, apparsi nel Devoniano inferiore che sulla lunga panchina circolare intorno alla statua equestre del duca dove mi siedo, se guardate calibrando l’occhio alle forme a spirale, ne trovate diversi, fossilizzati. Anche il duca di Brunswick, immortalato a cavallo, barbuto, e in divisa militare, sognava la stessa fine per il suo corpo: la pietrificazione. Farsi monumento. Forse come rivalsa a una vita non gloriosissima. Prima troppo giovane per salire al trono e poi detronizzato a favore del fratello, paranoico, afflitto da manie di persecuzione, preso in giro a Parigi per le sue ridicole apparizioni imbellettato all’eccesso, Karl II di Brunswick dai piedi minuscoli, gli occhi storti, obeso gli ultimi anni, muore di un colpo apoplettico qui accanto, nella suite al primo piano dell’hotel Beau-Rivage dove si era rifugiato a vivere recluso. Ginevra eredita ventiquattro milioni di franchi: l’unica condizione è erigere, in un posto degno, questo sepolcro-circo: imitazione, ingrandita di un terzo, della tomba degli Scaligeri a Verona. Orchestrato da Jean Franel, dopo i progetti scartati di Viollet-le-Duc e Vincenzo Vela, il monumento funebre in origine era ancora più esuberante: la statua equestre qui davanti era in cima. L’hanno dovuta levare perché rischiava di crollare tutto. Almeno, al duca, gli fanno compagnia una serie di disagiati abituali spiaggiati qui al suo cospetto. Mentre qui sopra fanno capolino i rami di due vecchi ippocastani che mostrano magnifiche gemme, diverse delle quali sul punto dischiudersi. Due esseri alati da bestiario fantastico, opera di Auguste Cain come i leoni dei quali è specialista, vigilano le vasche vuote: una ha la testa d’aquila come i grifoni mitologici e l’altra da pantera infuriata come le chimere.

Le vasche, come il resto del monumento – con le guglie e le statue di vari personaggi tipo Ottone Orseolo – al quale mi avvicino adesso per buttarci un occhio, sono in marmo di Carrara. Il sarcofago è sorretto da colonne in marmo di Baveno. Il cielo a mosaico che lo sovrasta, opera del mastro vetraio veneto Antonio Salviati, cade un po’ a pezzi: per terra minuscoli pezzettini di cielo blu. Non certo preziosi come il blu di Brunswick, misterioso diamante inestimabile venduto all’asta qui a Ginevra alla morte del duca e del quale poi si sono perse le tracce. Forse anche la sua passione per le pietre preziose partorisce l’insano desiderio inesaudito della pietrificazione del corpo. Doveva essere eseguita dal professor Paolo Gorini, inventore di un procedimento rimasto segreto fino a oggi. Eppure il matematico e scienziato italiano venuto qui con questo compito, come da volontà testamentaria, è ripartito con le pive nel sacco. A quanto pare, un corpo sottoposto ad autopsia – altra volontà testamentaria – non può essere pietrificato. La paranoia ha dunque privato il duca della sua pietrificazione.

Ritorno alla panchina ammonitica di questo mausoleo-imitazione divenuta attrazione turistica enigmatica, trasformata nel secolo scorso in souvenir attraverso mini chimere-bijoux. Non mi resta che errare con lo sguardo a caccia di belemniti, ricerca sottile, dovete mirare alla forma dei proiettili.