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Il mitico Camoscio bianco

/ 01/04/2024
Bruno Gambarotta

Il mio primo picnic lo ricordo benissimo: avevo 9 anni e il singhiozzo. Camminavo lungo un sentiero di montagna con mia madre e mia zia Emma e questo fatto che avevo il singhiozzo dava un enorme fastidio alle due giovani donne che chiacchieravano fittamente. A un certo punto mia madre ha detto in un soffio a sua sorella: «Guarda come si fa a farlo smettere». Si è voltata di scatto verso di me sbarrando gli occhi e gridando: «Ti butto giù dal burrone!» Sono quasi sicuro che mia mamma non volesse veramente gettarmi giù dal burrone, forse aveva intenzione di trattenermi dopo avermi dato una spinta ma non ha fatto in tempo e sono rotolato giù dalla scarpata. Un cespuglio che sbucava tra le rocce mi ha trattenuto tra i suoi rami. Guardando verso l’alto vedevo mia mamma che strillava con le mani nei capelli. Una catena di villeggianti tenendosi per mano mi ha tratto in salvo. Il singhiozzo era passato. Il giorno dopo ero a letto con l’itterizia.

A partire da quel giorno, alla parola picnic il bulbo degli occhi mi diventa leggermente giallo. Ma poi passa. Non ho niente contro i picnic e se sono della partita, mi porto dietro una scatola di sardine. Per me sono il massimo, il top. Per tutto il tempo della camminata che precede la consumazione del pasto, penso: «Ce la farò ad aprire la scatola?». Ci sono due scuole di pensiero: apertura a strappo o apertura a chiavetta. Non ho preferenze, tanto il risultato è il medesimo: mi trovo sempre in mano una linguetta strappata o una chiavetta rotta e ovviamente una cassaforte inespugnabile. Mentre i miei compagni di gita, sdraiati sull’erba, spazzolano via piccioni ripieni, torte pasqualine e crostate, io picchio con un masso su una pietra aguzza tentando di sfondare il coperchio della scatoletta. Le fanno di titanio. Infine provoco con due grammi di nitro un’innocua frana e riesco ad aprire la scatola, o meglio a farla esplodere. L’olio mi schizza dalla testa ai piedi ma finalmente posso dare inizio al mio pasto. Ho vinto.

La valle d’Aosta è il mio luogo di elezione, ogni occasione è buona per andarci. Nel mio primo lavoro dopo il diploma facevo l’aiutante di un fotografo specializzato in cartoline. In partenza per la valle d’Aosta ci portavamo dietro un camoscio impagliato. Lo collocavo di quinta e in ombra nelle fotografie dei tramonti. Senza camoscio non è una vera cartolina di montagna ma era raro incrociarne uno vero. Poi, nel corso degli anni, i camosci, grazie a una politica di ripopolamento, si sono moltiplicati, sono diventati troppi. Incrociare un camoscio non faceva più notizia. L’Ente del Turismo è corso ai ripari, ritirando in ballo un’antica leggenda che parlava del Camoscio Bianco: incontrarne uno era l’annuncio di una imminente fortuna in amore o in affari, a scelta. Dopo aver catturato un magnifico esemplare di maschio, hanno iniziato a dipingerlo di bianco. L’animale ha reagito, si è liberato con uno strattone ed è fuggito quando aveva la carrozzeria dipinta solo su una fiancata. Poiché non esiste in natura il camoscio double-face, hanno dovuto abbatterlo e mangiarselo in gran segreto. La metà dipinta è andata ai deboli di stomaco che dovevano mangiare in bianco. Con il secondo camoscio è stata usata una vernice ad acqua. Essiccandosi sul mantello, produceva un prurito insopportabile e la povera bestia è andata a strusciare contro ogni tronco o roccia che incontrava. Si è sparsa la voce che c’era una nuova bellissima passeggiata segnata con uno sbaffo di vernice bianca. Volenterosi camminatori si sono persi nel parco, alcuni per sempre.

L’Ente per il Turismo non si è dato per vinto e al terzo tentativo ha fatto centro. Il camoscio era di un bianco splendente, magico. La sua presenza ha dato un notevole contributo non solo alla notorietà della Valle ma anche alla selezione naturale: i vecchi camosci al vederselo comparire davanti stramazzavano a terra colpiti da un coccolone. I turisti facevano follie per riuscire a fotografare il mitico Camoscio Bianco e spedire le foto a tutta la rete di amici. Fiorivano leggende. Le pro loco degli altri paesi della Valle non hanno voluto essere da meno. Ogni paesino o frazione della Valle ha voluto avere il suo Camoscio Bianco.

Purtroppo però la bramosia di denaro piega ai suoi fini le più belle invenzioni dell’uomo; ho visto con i miei occhi uno stupendo esemplare di camoscio bianco che recava sulle fiancate la riproduzione di un piatto di polenta e fontina con lo slogan: «Da Marlettaz gusterete i piatti tipici della cucina valdostana».