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Il trionfo della «gradassocrazia»

/ 01/04/2024
Carlo Silini

Ci si deve arrabbiare anche per i torti inflitti ai «cattivi». Solidarizzare con le vittime degli attentati a Mosca, dei naufragi nel Mediterraneo, delle bombe a Gaza è una reazione giusta e istintiva. Tutte le vittime sono innocenti. Per definizione e indipendentemente da qualsiasi azione abbiano commesso (nel bene e nel male) e da qualsiasi pensiero (buono o cattivo) abbiano elaborato prima della violenza che è stata loro inflitta. Da qualche parte, e giustamente, ci diciamo che «non meritavano» di morire o, se sopravvivono, di subire ciò che hanno subito.

Meno scontato farlo con chi sta dalla parte del torto e, nel comune sentire, «meriterebbe» eccome di pagare con la vita per le proprie colpe. Prendiamo i killer del Crocus City Hall, il Bataclan moscovita, che poco più di una settimana fa hanno ucciso quasi 140 persone che – come tutte le vittime del terrorismo – avevano l’infausta colpa di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sono persone orribili. Non importa se sono stati manipolati, se hanno agito sotto l’influsso di droghe o stimolanti che ottundono le facoltà mentali, se erano semplicemente pazzi o se, ingenuamente, credevano di compiere un atto di giustizia divina, all’insegna dell’occhio per occhio, dente per dente. Restano freddi carnefici, non hanno mostrato un filo di pietà mentre seminavano proiettili e scintille tra i malcapitati che arrivavano a tiro, esattamente come in un videogioco sparatutto, più ne ammazzi e più punti fai. Nulla li scusa.

Ma sbatterli davanti alle telecamere del pianeta, come hanno fatto le guardie russe nei giorni successivi al massacro, schiacciati a forza a novanta gradi verso terra, coi volti tumefatti, uno privo di un orecchio, l’altro senza un occhio, è il modo più stupido e certo per assicurarsi un ciclo infinito di future violenze.

«Gli sta bene», penseranno molti. Altri riterranno che, di fronte agli orrori di questi tempi, qualche pugno o qualche pedata in più a quattro assassini, siano l’ultimo dei nostri problemi. Non è affatto così.

Non difendo i tagliagole e le loro colpe, difendo il loro diritto a non essere torturati e ridotti a trofei di caccia. Siano giudicati con un regolare processo, senza che gli si torca un capello, e condannati a giusta pena. Non per «buonismo», termine esecrabile che di solito viene utilizzato per screditare chi cerca di agire con un minimo di umanità e correttezza.

Ma perché questa è la risposta più rigorosa e intelligente al terrorismo, la dimostrazione a chi ci odia (l’ISIS ci detesta tanto quanto i russi) che non siamo disumani come loro, che le leggi – da noi – tutelano i diritti anche dei peggiori, che la giustizia è il contrario della vendetta. Ma questa è la Russia di oggi, muscolare e sprezzante, vessatrice e primaria. Comanda Putin, spadroneggiano i bulli e la loro logica intimidatoria, in cui non solo lo spietato terrorista va torturato, ma anche l’inerme dissidente. E giù botte. È la logica rediviva del manganello fascista, di cui abbiamo avuto esempi recenti anche nella vicina penisola.

I danni collaterali di questa «gradassocrazia» sono il proseguimento sine die della guerra contro l’Ucraina, con gli effetti economici che conosciamo e il rischio di finire prima o poi dentro un conflitto mondiale, e il rafforzamento dell’astio dei fanatici islamici che, nella loro semplificazione del mondo, non vedono significative differenze tra l’Occidente e la Russia. Aggrappiamoci al nostro DNA culturale e non dimentichiamo Voltaire, secondo il quale «il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri». E dei suoi carcerati.