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Allegri ma non troppo

/ 25/03/2024
Giancarlo Dionisio

Se i media e l’opinione pubblica ti cuciono addosso la figura retorica che risponde al nome di «Antonomasia», significa che sei qualcuno di importante, come il «Ghibellin fuggiasco», il «Pibe de oro», o il «Divin codino». Massimiliano Allegri è riconosciuto come «Il Livornese» oppure «l’Acciughina». Nel tempo è stato capace di crearsi una mistica tutta sua. Un’aura fatta di 6 scudetti, 1 conquistato col Milan e 5 con la Juventus, oltre a 7 altri trofei tra Coppa e Supercoppa italiana.

Non è da tutti. Non necessariamente, chi sul lavoro è onesto, puntuale, leale, preciso, rispettoso, propositivo, viene chiamato con un appellativo riconosciuto «urbi et orbi». Queste sono caratteristiche che ogni datore di lavoro vorrebbe appartenessero a tutti i propri collaboratori. Nello sport è molto più facile assurgere a mito quasi intoccabile. Se ottieni risultati sei coccolato, adorato e strapagato. Come «Acciughina», il cui contratto, tra il 2021 e il 2025, contempla un compenso annuo di 7 milioni netti di euro. Cifre che ti regalano la ricchezza, ma non l’onnipotenza. La signorilità imporrebbe il rispetto nei confronti di chi fa parte del tuo mondo e guadagna meno della centesima parte di quanto percepisci tu. A quanto pare, Allegri la pensa diversamente. Non appena un giornalista gli mette pressione con qualche domanda scomoda, sbotta e sbraita.

È capitato due domeniche fa durante la conferenza stampa susseguente l’ennesima prova moscia disputata dalla sua squadra: «Io faccio l’allenatore e non giudico il lavoro dei giornalisti. E così dovreste fare voi: voi non dovete capire, ma solo fare domande. Mi faccia una domanda più intelligente, le risponderò».

Non è la prima volta che accade. Non è la prima volta che il Mister della Juventus rifiuta lo scambio, così come le responsabilità che si dovrebbe assumere ogni buon condottiero, nella buona e nella cattiva sorte. Inoltre, diciamolo, Allegri non è l’unico ad esercitare una forma di potere che gli deriva dal ruolo e dal denaro.

Posso intuire, come giornalista, che sia molto nervoso. Non gliene va bene una. Ma faccio fatica a seguire il filo logico del suo discorso. Lui giudica l’operato di quel tal collega, ma pretende di non essere a sua volta giudicato. Intravedo un importante problema di trasparenza, di empatia e di rispetto. Ho citato l’esempio di Max Allegri, poiché è il più recente di una lunga serie di episodi che si ripetono regolarmente sull’arco dell’intero campionato, in Italia e non solo.

Anni fa, in diretta radiofonica, posi ad un allenatore di calcio una domanda da lui ritenuta inopportuna. Questo mi apostrofò duramente dicendo che per me era facile. Salario fisso e assicurato. Piedi al caldo. Mentre lui domenica dopo domenica era sulla graticola, con il posto di lavoro sempre a rischio. Tutto vero. Interruppi ovviamente l’intervista. L’indomani gli inviai una lettera in cui ribadivo la legittimità della mia domanda e gli ricordavo che il mio salario fisso corrispondeva grosso modo a un quinto di quanto guadagnasse lui, e che la cospicua cifra da lui incassata, compensava ampiamente quello che lui considerava il «fattore rischio». Gli ricordai che qualora io avessi realizzato per un intero anno dei servizi di ottima qualità, non avrei fatto alcun passo in avanti sotto il profilo salariale, mentre lui, in caso di eccellenti risultati avrebbe potuto fare un grande salto verso un club più ricco e più generoso. Conclusi sostenendo che alla mia età, rincorrere gli umori di un allenatore bizzoso, o quelli di un giovane calciatore viziato, aveva un suo lato umiliante. Non mi rispose, ma al termine della partita successiva mi intravide nella hall dello stadio, gremita da giornalisti, calciatori e dirigenti. Si fece largo, venne da me, e senza proferir parola mi strinse la mano. Capii che aveva capito. Non diventammo amici, ma il nostro rapporto proseguì serenamente fino al termine della sua carriera.

Non so se Allegri uscirà a cena col giornalista incapace, secondo lui, di porgli domande intelligenti. Spero quanto meno che capisca che nel pregiato salario percepito da lui e da molti suoi colleghi è compreso anche il passaggio sotto le forche caudine delle conferenze-stampa. Fanno parte del gioco. Fungono da gran cassa. Contribuiscono a conferire visibilità e, di conseguenza, denaro.