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Il buco per il mal di testa di Berschis

/ 25/03/2024
Oliver Scharpf

Negli appunti di viaggio fino a una bucalettere di Berschis, dove un signore mi ha lasciato la chiave per la più antica chiesetta romanica della Svizzera orientale, ci sono le esplosioni di magnolie, undici cigni in un campo, il biancore di Sankt Georg sul cucuzzolo di uno sperone di roccia tormentata. La chiave antica con anello a doppia onda, grande come una mano, messa in tasca, è di colpo legame tra i vivi e i morti. Da Berschis, paesino sangallese sulla sponda destra dell’A3 che corre lungo la Seeztal, dove una domenica mattina tardi di marzo inoltrato non c’è un’anima in giro ma si scorge una ditta enorme di cessi mobili di nome Toiletking, a Sant Jöri – come viene chiamata qui nel Sarganserland – sono su in venti minuti. Tra le note di cammino, oltre a montagne corrucciate e perturbanti, l’indicazione per il pozzo del mostro, una grotta di Lourdes artificiale creata con l’esplosivo negli anni Venti, troviamo le pecore ungheresi di razza racka con stranissime corna a spirale tipo unicorno. Appena apro la chiesa risalente all’undicesimo secolo, sul soffitto a volta, un cuore trafitto da tre chiodi. È incorniciato da una nuvola rosa. Altre nuvole s’incontrano, oltre la flora affrescata, sotto le volte a crociera del soffitto basso che spiove in colonne tozze di un bianco tremolante.

L’unica fonte di luce, a parte quella flebile di due finestrelle nell’abside dove sono diretto, è quella della porta lasciata aperta. Dietro l’altare, a dodici centimetri dal pavimento, trovo il Kopfwehloch. Il buco per il mal di testa, la cui prima traccia scritta è annotata in un resoconto di una visita, nel 1631, del vicario generale di Coira che accenna a questa curiosa usanza-rimedio della medicina popolare mista a devozione. Disinteresse totale per secoli finché questo posto riaffiora come luogo di forza in un libro di Blanche Merz, geobiologa, autrice di Les hauts-lieux cosmo-telluriques (1983) che indica una misurazione di diciottomilacinquecento Bovis. Questa nicchia nel muro che sembra un forno antico per il pane è al centro dell’abside dove catturo San Giorgio con una spada. Ai suoi piedi, un drago quasi invisibile della taglia di uno yorkshire terrier. Mentre qui, alle spalle del buco curativo nel muro, un teschio umanizzato con una clessidra in mano. Sulla fronte, il monogramma HW, presunto autore dei dipinti cinquecenteschi. Alzando lo sguardo, sotto le volte, si coglie il sole in una, la luna nell’altra. In entrambe si dirama danzante la Solanum dulcamara. Pianta medicinale che possiede proprietà depurative del sangue, utile nei dolori muscolari, esercita un’azione molto efficace come espettorante in caso di tosse o antipiretico per febbre alta.

Un po’ per la fiducia infusa dalla presenza della dulcamara sopra la testa, un po’ per la luce mistica che entra dalla strombatura estrema della finestrella rotonda orientata a sud-est, a fianco del teschio vivente, un po’ perché tanto sono già cenere gettata nel mare, m’inginocchio e mi metto a gattoni, pronto a infilare la testa. E così, senza pranzo sul finire dell’inverno, infilo la testa nel buco per il mal di testa (589 m) di Berschis. Se non altro, solo ora, vi è una vera tregua nel brusìo autostradale incessante. Casomai, dopo il sollievo dal rumore snervante, togliete la testa con cautela: chissà quanti «kopfertami!» saranno partiti qui nel corso dei secoli. Picchiare la testa nel buco del mal di testa sarebbe stato un caso di reportage giornalistico demenziale. Invece, rialzato, mi sento carico e la mente corre all’archeoacustica maltese. Questa nicchia, infatti, potrebbe richiamare le risonanze ipogee del santuario sotterraneo di Hal Saflieni a Malta: lì nella stanza dell’oracolo c’è un buco simile utilizzato per propagare nelle altre stanze, nei riti di migliaia di anni prima di Cristo, la voce.

Va detto, altri riverberi portano a una chiesa nidvaldese e a una grigionese dove si trova lo stesso tipo di buchi per questo rito ritrovabile anche a Brescia. Dove ai fianchi della pietra nera di un altare, il giorno di Sant’Onorio, si fa la fila per infilare la testa. Un’etnobotanica di Coira mi ha rivelato invece una sua teoria: tramite questo buco la chiesa è collegata al Ughüür Brunna, il pozzo del mostro, usato dai romani come cisterna, dove si troverebbero monete d’oro difese da un drago.