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Papa Francesco, dall’esilio all’ascesa

/ 25/03/2024
Aldo Cazzullo

Il capitolo forse più bello e inatteso dell’autobiografia del Papa – Life. La mia storia nella Storia, pubblicata da HarperCollins – è quello dedicato al «destierro», una parola spagnola che indica l’esilio per punizione. Jorge Mario Bergoglio è stato un giovane capo dei gesuiti in Argentina. Poi è caduto in disgrazia. Forse è anche un normale avvicendamento, dopo gli anni più terribili della dittatura; anche se nel libro Bergoglio tiene a precisare di aver sempre aiutato i sacerdoti perseguitati dal regime di Videla. Fatto sta che, dopo i giorni del potere, padre Jorge viene relegato in una residenza per anziani confratelli a Cordoba, lontano dalla sua città, la capitale Buenos Aires. Sveglia alle 4.30, preghiera, bagno in comune, una piccola cella, la numero 5. Fa il confessore. E si occupa dei confratelli ammalati: li lava, dorme al loro fianco, aiuta in lavanderia. «Mettersi al servizio dei più fragili, dei più poveri, degli ultimi è ciò che ogni uomo di Dio, soprattutto se sta ai vertici della Chiesa, dovrebbe fare: essere pastori con addosso l’odore delle pecore», scrive Bergoglio. Un giorno si offre di cucinare per il matrimonio della nipote di Ricardo, il tuttofare del convento: fa bollire la carne, pela le patate, prepara un timballo di riso. Alcuni gesuiti mormorano: «È pazzo». In realtà il futuro Papa riflette sugli errori «commessi per via del mio atteggiamento autoritario, tanto da esser stato accusato di essere ultraconservatore. Fu un periodo di purificazione. Ero molto chiuso in me stesso, un po’ depresso».

Finita la punizione, comincia l’ascesa: vescovo ausiliare di Buenos Aires, arcivescovo, cardinale. Quando papa Benedetto si dimette, Bergoglio è convocato con gli altri a Roma. Ratzinger incontra i cardinali e promette incondizionata reverenza e obbedienza al nuovo Papa. «Mi ha invece addolorato vedere, negli anni, come la sua figura di Papa emerito sia stata strumentalizzata con scopi ideologici e politici da gente senza scrupoli che, non avendo accettato la sua rinuncia, ha pensato al proprio tornaconto e al proprio orticello da coltivare, sottovalutando la drammatica possibilità di una frattura dentro la Chiesa». Lo dice Francesco che, per evitare questa deriva, va subito a trovare Benedetto a Castel Gandolo. «Decidemmo insieme che sarebbe stato meglio che non vivesse nel nascondimento, come aveva inizialmente ipotizzato, ma che vedesse gente e partecipasse alla vita della Chiesa. Purtroppo servì a poco, perché le polemiche in 10 anni non son mancate e hanno fatto male a entrambi». Nel libro ci sono anche importanti rivelazioni sul conclave del 2013: «Alla prima votazione fui quasi eletto, e a quel punto si avvicinò il cardinale brasiliano Claudio Hummes e mi disse: “Non aver paura, eh! Così fa lo Spirito Santo!”. Poi, alla terza votazione di quel pomeriggio, al settantasettesimo voto, quando il mio nome raggiunse i due terzi delle preferenze, tutti fecero un lungo applauso. Mentre lo scrutinio continuava, Hummes si avvicinò di nuovo, mi baciò e mi disse: “Non dimenticarti dei poveri…”. E lì ho scelto il nome che avrei avuto da Papa: Francesco».

Tra i brani più significativi dell’autobiografia, ci sono quelli in cui Francesco conferma la sua apertura agli omosessuali: «Immagino una Chiesa madre, che abbracci e accolga tutti, anche chi si sente sbagliato e chi in passato è stato giudicato da noi. Penso alle persone omosessuali o transessuali che cercano il Signore e che invece sono state respinte o cacciate». Il Papa conferma «le benedizioni alle coppie irregolari: voglio soltanto dire che Dio ama tutti, soprattutto i peccatori. E se dei fratelli vescovi decidono di non seguire questa strada, non significa che questa sia l’anticamera di uno scisma, perché la dottrina della Chiesa non viene messa in discussione». Il matrimonio omosessuale non è possibile, ma le unioni civili sì: «È giusto che queste persone che vivono il dono dell’amore possano avere una copertura legale come tutti. Gesù andava spesso incontro alle persone che vivevano ai margini, ed è quello che la Chiesa dovrebbe fare oggi con le persone della comunità LGBTQ+, che all’interno della Chiesa sono spesso marginalizzate: farle sentire a casa». Quanto alle dimissioni, Bergoglio scrive che non ci pensa nemmeno: per lui il papato deve essere a vita. Potrebbe dimettersi solo in caso di grave impedimento di salute. In tal caso, non vorrebbe essere chiamato Papa emerito, come Ratzinger, ma «vescovo emerito di Roma»; e si ritirerebbe nella sua basilica romana preferita, santa Maria Maggiore, per riprendere a fare il confessore. Come negli anni del «destierro».