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Nostalgia del pulpito

/ 18/03/2024
Paolo Di Stefano

Basta pochissimo per far partire l’accusa di nostalgia. Oggi bisogna guardare con ottimismo alle magnifiche sorti e progressive, e se osi appellarti a un buon esempio del passato sei un disfattista, uno jettatore o peggio un nostalgico. Ricordo l’entusiasmo collettivo (voto 2), vicino all’ebbrezza (voto 1), per Facebook, per YouTube, per Twitter; poi vennero con altrettanto slancio Instagram e TikTok… Ricordo che se confessavi, a occhi bassi e un po’ arrossendo, di non essere un praticante di quella fede, venivi preso per un eretico, o per un anacoreta, un frate minore (molto minore) per di più scalzo (molto scalzo), oppure per un vecchio babbione o peggio ancora per un lugubre intellettuale di sinistra neanche tanto gramsciano, tra il radical chic e una sorta di dandy elitista e snob. Movimenti spontanei di convinti attivisti del Verbo Social si mobilitavano per fare proseliti e convertire i riluttanti scettici: rimanere indifferenti a quell’alba della democrazia, a quella rivoluzione finalmente realizzata di libertà eguaglianza e fraternità, senza pulpiti e senza cattedre, significava rifiutarsi al confronto con il popolo, vivere fuori dalla realtà presente e soprattutto futura. Da quei primi anni Duemila, i cyber-utopisti sono rimasti tali, gli apocalittici additano il demonio, la sterminata folla di ferventi sensibili all’aria del tempo continua indifferente a collegarsi, ad aprire account e profili, forsennatamente e allegramente a chattare. I realisti ne segnalano il (clamoroso) rovescio della medaglia, compresi i guadagni spropositati (e morbidamente tassati) dei giganti tecnologici, i controlli da Grande Fratello, le conseguenze letali per gli equilibri già fragili della democrazia. Vedi alle voci: Trump e Putin. Qualche giorno fa il New York Times elencava le false testate digitali americane (Chicago Chronicle, Miami Chronicle, New York News Daily e altre) diffuse dalla Russia come strumenti di disinformazione per destabilizzare gli Stati Uniti in vista delle elezioni presidenziali. Una fabbrica di falsità utile a orientare (disorientare) l’opinione pubblica.

Sarà da nostalgici affermare che piuttosto che vivere (navigare) in un mondo senza pulpiti o insidiato da migliaia di falsi pulpiti-pescecani sarebbe preferibile rivalutare i vecchi pulpiti autorizzati, con facce franche e riconoscibili, forse severe ma responsabili di quel che dicono? Per chi volesse essere guidato tra i pulpiti di un tempo (sempreverdi, voto medio: 6+), si consigliano due libri da tenere fissi sul comodino come vademecum per il prossimo millennio. Il primo è di un grande giornalista e scrittore, Corrado Stajano, e si intitola Destini (Il Saggiatore). Il secondo è di un grande archeologo e storico dell’arte, Salvatore Settis, e si intitola Registro delle assenze (Salani). Sono raccolte di ritratti e biografie di persone che i due autori hanno conosciuto e ammirato. Basterebbe fare alcuni nomi per innescare la trappola micidiale (e inevitabile) della nostalgia (canaglia). Tra le «vite di un mondo perduto» raccontate da Stajano c’è quella del manager olivettiano Paolo Volponi, scrittore visionario convinto che «i ribelli erano il lievito della terra». C’è l’«umile venditore di libri» che fu Roberto Cerati, il direttore commerciale della Einaudi che quando la casa editrice dello Struzzo fu acquistata da Berlusconi decise di rimanere al suo posto come un custode dell’Altare della Patria (anche se l’amata Patria non c’era più). C’è un ritratto memorabile del banchiere illuminato Raffaele Mattioli, uomo di conti e letterato che si definiva un conservatore anarchico, mecenate che salvò dalla crisi diversi editori e che fece della Ricciardi una delle collane più prestigiose di classici. Settis racconta maestri e compagni di strada. Ne ricordo solo due (il voto con lode va da sé). Lo storico dell’antichità Arnaldo Momigliano: «la storia è una re-interpretazione del passato che porta a conclusioni sul presente». Carlo Azeglio Ciampi, che considerava la sua formazione di filologo classico indispensabile per l’attività di banchiere: «Rispetto dei documenti e ricerca della verità». Etica della competenza, la definisce Settis, pronunciata dal pulpito più alto. Etica e competenza: due valori di cui i social possono fare a meno, senza nostalgia.