azione.ch
 



Rogo con vista

/ 18/03/2024
Cesare Poppi

Al tempo la Cattedrale di Nôtre Dame, completata nel 1250, era ancora ben visibile da quella che si chiamava l’Île aux Juifs, l’Isola dei Giudei, una delle isole minori della Senna parigina. Avrebbe presto cambiato nome, diventando l’Île des Templiers – l’Isola dei Templari: qui, infatti, il 18 marzo 1314 fu messo al rogo il ventitreesimo e ultimo Gran Maestro dell’Ordine dei Templari, Jacques de Molay. De Molay, conte di Acri, in Terrasanta, aveva allora 70 anni. La sua vicenda è una delle più drammatiche e grottesche della storia del cosiddetto Occidente. E con lui quella dell’intero Ordine dei Templari, che aveva nei ranghi dei Cavalieri Combattenti per la difesa dei luoghi sacri della cristianità la punta di un iceberg che si calcola avesse raggiunto al suo apice i 150’000 membri (scudieri, servitù, accoliti e quant’altro di un’organizzazione capillare).

Sul campo di battaglia i cavalieri Templari erano una forza formidabile. Durante le Crociate avevano chiesto e ottenuto il privilegio di essere fra i primi a gettarsi nella mischia. Con le loro armature pesanti (circa quaranta chili in aggiunta al peso corporeo), in arcione a cavalli di stazza crescente, anch’essi corazzati, seminavano il panico non appena potessero giungere a ridosso delle schiere nemiche una volta superato lo sbarramento di archi e frecce di fanterie equipaggiate – e non sempre – con armature leggere. Questo laddove la cavalleria musulmana contava di più sulla velocità, sul volteggio, sulla leggerezza e sulla sorpresa. Ma era la motivazione – quasi un arrogante ordine a Dio – a fare probabilmente la differenza: «Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloria», «Non a noi, Signore, ma al nome tuo dà gloria».

Peraltro, o così suppone il vostro Altropologo preferito, fu la forza d’urto finanziaria dell’Ordine a farne una potenza multinazionale ante litteram, extraterritoriale e globale, diremmo oggi. Se ne accorse presto – o forse troppo tardi, ironia della Storia – il Re di Francia Filippo IV detto «il Bello» (1268-1314). Costui si indebitò fino al collo in quell’episodio pretestuoso che fu la Crociata Aragonese indetta da Papa Martino III contro gli Aragonesi (1283) dopo che questi avevano sconfitto (e «usurpato») gli Angioini (dinasticamente «francesi») in Sicilia e nel meridione d’Italia.

Un pasticciaccio che aveva visto Il Bello indebitarsi per finanziare la Crociata intesa a riportare l’Italia all’ovile francese prima coi potenti banchieri fiorentini, poi con quelli ebrei, a corto di entrate com’era in una Francia in profonda crisi economica. Messo alle strette, Filippo IV liquidò i riscossori fiorentini ed ebrei appellandosi al fatto che prestare denaro a interesse equivaleva a usura: peccato mortale da condannare e del quale non bisognava farsi complici. Bandì i banchieri fiorentini dai confini del regno e quelli ebrei… beh, a quelli già ci pensava in quegli anni un generale cambiamento culturale che voleva (lo avrebbe fatto senza successo per due secoli a venire) essere gli Ebrei anacronistici «eretici».

Queste le già di per sé dubbie giustificazioni per quel «io non pago in nomine Domini, il Quale punisce strozzinaggio ed eresia» del Nostro. Faceva questi conti senza il «non nobis Domine» dei Templari. Si calcola che nel novembre del 1286 il debito di Filippo nei confronti dei Templari avesse raggiunto gli 80 quintali d’argento, ovvero il 17% delle entrate del Regno. Occorreva inventarsi qualcosa – fosse pure la qualunque. Vittime del loro stesso successo, i Templari erano da tempo bersaglio della bad press e fake news a causa delle loro attività di prestatori di denaro. Circolarono pertanto sentito dire, gossip, ricatti e supposizioni. Si diffusero in Europa chissà quali reportage, incompetenti o in malafede che produssero i dividendi voluti/dovuti del Pensar Male.

Fra il 1299 ed il 1303 de Molay aveva cercato di formare una coalizione contro i Mammalucchi che avrebbe compreso anche i misteriosi Mongoli dell’Ilkanato di Persia. Abbastanza per dar credito a una confusa e confondente notizia che attribuiva a de Molay e ai Templari l’adorazione di un fantomatico, mai meglio identificato «Baffometto», associato per giunta ad accuse di pederastia. Fu la quadratura del cerchio: i Templari potevano essere, finalmente, dichiarati eretici. Il sospetto legittimava l’uso della tortura con confessioni estratte a migliaia. «Confessò» in un primo interrogatorio anche de Molay. Poi – paradossale pentimento per aver mentito e/o moto d’autostima che sia stato – ritrattò la confessione. Il rogo non attendeva altro che un pentito confesso e recidivo: arcieretico dunque. Comburat: sia bruciato. Miserere per tutti.