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Il morbo di Ulrich von Wilamowits Moellendorff

/ 04/03/2024
Bruno Gambarotta

Carissima,

ti ricordi? Mi avevi chiesto il favore di accompagnare tua zia all’ospedale per una visita oculistica. Al centralino l’avevano prenotata per il dicembre del 2006, l’unico modo per passare subito era andare al pronto soccorso. Bene, l’ho persa. Mi hanno assicurato che non è per sempre, che le zie prima o poi le ritrovano. L’ho persa quando mi sono messo in fila davanti al Totem giallo che genera i ticket. Avevo con me tutti i dati di tua zia per essere pronto a rispondere alle domande della macchina. Se hai qualche esitazione il totem giallo ti comunica «Tempo scaduto!» e tu devi ricominciare tutto da capo. La macchina mi ha chiesto il segno zodiacale di tua zia. Sapendo che è nata il 22 maggio ho risposto: «Gemelli», ma poi, quando mi ha domandato l’ascendente, non ho saputo rispondere. Tua zia, che legge sempre il suo oroscopo, di sicuro lo sapeva ma quando sono tornato da lei era scomparsa. Non c’era più. Al suo posto un tale con un martello pneumatico stava scavando un tunnel per mettere dei cavi. «Stiamo lavorando per voi», ha risposto quando gli ho chiesto dov’era finita l’anziana signora che prima sostava in quel punto. A forza di vagare dentro quella gabbia di matti ho poi trovato tua zia in ortopedia: le stavano ingessando il braccio sinistro. «Ma come?», le ho domandato, «non gli hai spiegato che sei qui per una visita oculistica?» «Certo che ho protestato, ma mi hanno risposto: se dessimo retta a tutto quello che dicono i pazienti staremmo freschi. Vanno su Google e diventano tutti medici». Pagando un altro ticket ho ottenuto che le togliessero il gesso e, dopo aver rifatto la fila al Totem, ci siamo messi in attesa del nostro turno davanti al reparto giusto. Dopo un po’ che eravamo lì in attesa, ho incominciato a notare che chiamavano dei pazienti arrivati dopo di noi. Ho domandato a un’impiegata come mai ci scavalcavano e lei mi ha fatto una confidenza: quei pazienti erano affetti da malattie rare. I medici sono avidi di quel tipo di malattie perché possono farci degli studi e fare bella figura ai congressi. Così mi sono inventato una malattia rara. Quando l’infermiere ha chiamato un tale arrivato dopo di noi, facendo la vocetta implorante e gli ho chiesto: «Scusi, perché la signora non l’avete ancora chiamata?»

Ha replicato brusco: «Quando sarà il suo turno la chiameremo».

«Strano. Il dottore, quando ha sentito il nome della sua malattia, ha detto che voleva visitarla subito».

L’infermiere ha abboccato: «Come si chiama la malattia della signora?»

Ho sospirato: «La signora è affetta dalla sindrome di Wilamowits Moellendorff».

Sono andato sul sicuro, Ulrich von Wilamowits Moellendorff è stato un filologo classico, avevo controllato su Google, non esiste un malattia con quel nome.

Dopo tre minuti sono usciti cinque camici bianchi, hanno afferrato tua zia, l’hanno portata di là e mi hanno chiuso la porta in faccia. È stata quella l’ultima volta che l’ho vista. Non mi sono arreso, sono andato in amministrazione a informarmi. Sono stati molto gentili: «Abbiamo controllato su Internet, quella malattia non esiste».

«Certo che non esiste», ho replicato. «L’ho inventata io».

«Vede che abbiamo ragione? È impossibile che quella signora sia stata ricoverata qui da noi perché non avremmo mai potuto registrarla come affetta dal morbo di Wilamowits Moellendorff».

«Non è un morbo», ho insistito. «Caso mai è una sindrome»

Ho chiesto umilmente cosa potevo fare per riavere tua zia anche se la sua presenza non era registrata nella memoria del loro data base. «Bisogna aspettare che facciano tutte le analisi necessarie per definire i parametri di questo nuovo morbo. Solo quando saremo in possesso del quadro clinico completo potremo introdurre i dati nel nostro archivio digitale e, se saremo stati esaurienti, il sistema l’accetterà. Solo a quel punto sarà disposto a riconoscere la presenza nel nostro ospedale della signora e autorizzare la sua dimissione».

Carissima, secondo il mio parere spassionato, tua zia sta meglio lì che a casa sua. È guardata da un esercito di medici, le fanno tutte le analisi possibili e immaginabili. Il suo nome finirà sui trattati di medicina come il primo essere umano trovato affetto dalla sindrome (o, se preferisci, dal morbo) di Ulrich von Wilamowits Moellendorff.

Il tuo affezionatissimo Bruno.