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L’infinito, tra conoscenza e contemplazione

/ 04/03/2024
Lina Bertola

È in corso di presentazione e di discussione un nuovo grandioso progetto del CERN, l’organizzazione europea per la ricerca nucleare. Lo studio prevede di sostituire, tra un paio di decenni, l’attuale acceleratore, il Large Hadron Collider, in funzione da sedici anni nel sottosuolo di Ginevra, tra Francia e Svizzera. Il progetto riguarda una nuova colossale e più potente struttura, denominata Future Circular Collider, il cui scopo sarebbe quello di approfondire ulteriormente la comprensione della fisica delle particelle e con essa la comprensione dell’universo. Ciò è reso possibile da un sistema circolare di tunnel sotterranei in cui due fasci di particelle vengono fatte collidere, a una velocità molto vicina a quella della luce, per generare nuove particelle, e questo perché nell’infinitamente piccolo sono custoditi i «segreti» dell’infinitamente grande.

Un grandioso, affascinante abbraccio di infiniti in cui forse si nasconde anche il nostro umano desiderio di infinito. Come dire, questo abbraccio potrebbe evocarne altri che riguardano il nostro modo abitare la vita, sempre sospeso tra il qui adesso e il desiderio di trascendenza, in cui si intrecciano conoscenza e contemplazione.

Oggi il volto contemplativo, che nutre di bellezza e gratuità l’esperienza della conoscenza, appare soffocato nel continuo potenziamento di un sapere fortemente orientato allo sviluppo tecnologico. Oggi il valore e il senso di ogni conoscenza sono declinati e riconosciuti perlopiù in un’ottica pragmatica e utilitaristica. Certamente gli effetti positivi della cosiddetta tecnoscienza sono visibili in molti ambiti, a cominciare dalla medicina, ma qualcosa in questa percezione del sapere rimane silenzioso, dimenticato sullo sfondo. Uno specchio di questo oblio lo possiamo cogliere nella scuola, nel suo essere sempre più in ostaggio del mantra delle competenze e sempre meno attenta al suo compito essenziale: quello di far fiorire il vissuto di ogni bambino dentro un’esperienza di bellezza della conoscenza che gli permetta di prendere il volo, di sporgersi al di là di un sapere che ha valore solo perché serve, schiacciato sulla sua utilità immediatamente spendibile.

Che la ricerca del sapere mantiene sempre un suo volto in qualche modo contemplativo, di pura bellezza e gratuità, mi è stato invece felicemente confermato da alcune recenti dichiarazioni di Fabiola Gianotti. A proposito del nuovo progetto, la direttrice del CERN ha parlato di uno strumento con il quale rivolgersi alle domande aperte, cioè a quelle domande prive di una chiara guida teorica.

Le sue parole mi hanno fatto pensare a una possibile somiglianza tra questo suo sguardo aperto sull’universo e l’esperienza del «lasciarci toccare» dalla realtà nel suo manifestarsi spontaneo, quando ci apriamo con sguardo contemplativo su ciò che ci circonda. Forse è anche questo un volto del nostro rapporto con l’infinito, un modo di abitare il mondo con gratitudine e commozione ad alimentare il desiderio di comprenderlo.

Ho immaginato così Fabiola Gianotti, con gli occhi aperti sull’universo, mettersi in ascolto di una poesia che contempli l’infinito. L’ho immaginata accanto a Leopardi, a sporgersi con lui oltre la siepe dell’ultimo orizzonte, a condividere con il poeta spazi sterminati, e chissà, anche la commozione di fronte all’immensità e il suo «dolce naufragar in questo mare». L’ho pure immaginata accanto a Galileo, in quella bellissima scena del film di Liliana Cavani che lo mostra con il suo cannocchiale finalmente puntato su una splendida immensa luna. Commosso di una commozione grata, che risuona nel silenzio e nel buio della notte, dice al suo fedele assistente: lo sai che siamo i primi uomini a veder sorgere il sole sulla luna? Prima la ri-costruzione paziente del cannocchiale poi, alla fine, la contemplazione della bellezza del cielo.

Come fu per il cannocchiale di Galileo, anche il desiderio di approfondire la conoscenza dei fondamenti della natura necessiterà di nuovi strumenti tecnologici. Anche qui la tecnologia sembra trovare il suo posto principale, almeno per ora, al di qua della ricerca pura. È importante, credo, richiamare questo rapporto originario tra le finalità conoscitive della ricerca scientifica e la tecnologia che è uno strumento, seppure oggi indispensabile ai suoi scopi. Ciò significa non più valorizzare i mezzi tecnologici come fossero essi stessi dei fini, il che accade spesso nel potenziamento autoreferenziale della tecnologia, ma riconoscere il valore nelle finalità intrinseche alla vita, in tutte le sue espressioni, anche nei mille volti del desiderio di infinito.