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Senato sedato

/ 19/02/2024
Cesare Poppi

Chi abbia la fortuna di visitare quel piccolo gioiello che è Sarsina, luogo natale non lontano da Rimini del grande Plauto, il Fellini della Romanità, non mancherà di visitare il Museo Nazionale Romano. Qui spiccano una serie di grandi statue di divinità orientali assieme a un gruppo monumentale al quale è stato dato il titolo di Trionfo di Dioniso. Il tutto di ottima fattura. Fra il II e il III secolo d.C. Sarsina era un emporio internazionale che controllava le vie del commercio fra Spina/Adria, Ravenna e Roma. Punto d’intersezione del commercio globale che importava operatori e commercianti dall’Egitto e dall’Oriente – e con loro le divinità di un Impero guardingo e allo stesso tempo pragmatico e tollerante – Sarsina vedeva sorgere edicole e templi dedicati alle più diverse entità soprannaturali.

Le statue sono state ricostruite dopo essere state fatte a pezzi così come furono trovate dagli archeologi in tempi moderni. Risultato delle ingiurie degli Uomini e non di quelle del Tempo: facce e volti sono stati poi infatti sistematicamente obliterati, ridotti in schegge al punto da farne risultare impossibile il recupero restaurativo. Chi fu il vandalo antelitteram? Difficile – se non impossibile – nominare il peccatore. Più facile puntare il dito a una generica folla di hooligans senza volto di tutti i tempi, variante locale di quei circumcelliones nordafricani, misteriosa, bizzarra e coloratissima setta eretica di sedicenti «monaci» di ispirazione cristiana votati – a sentire Agostino (che li denunciava come brigantes) e altre fide dignes autorità – a una varietà d’imprese che andavano dalla gozzoviglia con prostitute da redimere al castigo di coloro che praticassero ancora il paganesimo.

Secoli difficili quelli del Tardo Impero. Incerti e imprevedibili. Più che mai, venuta meno l’automatica forza persuasiva/coercitiva di un Imperium ormai stirato all’estremo – come un elastico pronto a rinculare – fino ai confini geografici del logisticamente praticabile, ci si rende conto che la forza centripeta di Roma è ormai agli estremi: «Ogni cosa crolla/il centro non può reggere» (Yeats/Achebe).

Quella romano/latina era stata da tempi non sospetti società liquida di sedicenti autoproclamati immigrati – e proprio per questo fluida ed efficiente, ovvero, nella sua capacità di cooptare correnti culturali confluenti per empatia quando non obtorto collo (Latini, Greci, Etruschi…). Qui in molti si adeguavano e adeguarono attorno a una linea mediana comune, koinè populista di un mediano paganesimo comprensibile/condivisibile a tutti (Numa Pompilio docet) finché tenuto in riga. Spazio peraltro sempre più angusto e incerto rispetto all’apparato Imperiale in espansione. Nei secoli del Tardo Impero, III/V, si stava invece addensando un liquame viscoso a mano a mano che nuove comparse premevano ai cancelli e varchi dell’Impero, ciascuno con le sue speciali rivendicazioni.

Occorreva individuare un nuovo orizzonte lungo il quale tracciare le linee di un Patto Sociale/New Deal globale, comprensivo e universale. In grado non tanto di trascendere il caos delle istanze particolari laddove ormai ciascuno aveva il proprio Dio esclusivo – e soprattutto competitivo/alternativo – dopo i tempi d’oro del «tutti insieme appassionatamente» del Primo Impero. Ai tempi dell’affermazione del Cristianesimo – ricordiamo – le Legioni Romane optavano en masse per il Mitraismo, religione di salvezza in concorrenza aperta col Cristianesimo «dalla parte del gladio» – che non fu argomento di poco conto. E divennero, le Legioni, arbitre e/o mallevatrici di una moltitudine di Elezioni a furor di gladio di Imperatori sul merito dai quali un Senato sedato – ridotto a bolso Circolo Anziani Pensionati «SPQR – Senatus Populus Quirites Romani» – era andato invece ar Bar pe’ caffè e ppennichella – con le onorate eccezioni.

Ci provò Costantino nel gennaio del 313. Forse intuì che l’ultima spiaggia per un collante che cementasse la varietà di centrifughe identitarie ormai in lotta potesse essere sdoganare il Cristianesimo Universalista col suo Editto. Toccò, ahilui, a suo figlio, Costanzo II, il 19 gennaio 334 decretare il Cristianesimo sola e unica Religio Imperii. Un pasticcio fotonico. Risultato auspicato dal Legislatore? Con le dovute eccezioni, Altropologicamente parlando, perlomeno controvertibile.