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Dentro le proteste dei contadini
Paola Peduzzi
La protesta degli agricoltori è una delle più efficaci che si ricordi: in tutta Europa i dipendenti del settore agricolo stanno ottenendo concessioni ed esenzioni, sia a livello locale sia a livello comunitario (manifestazioni, più limitate, si sono registrate anche in Svizzera). Questa conquista va di pari passo con una sempre più evidente freddezza nei confronti del Green deal europeo, che è uno dei progetti-simbolo di questa legislatura che si chiude con le elezioni Ue che si terranno tra il 6 e il 9 giugno. Di recente la Commissione europea ha presentato gli obiettivi sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica entro il 2040 che sono necessari per mantenere la promessa della «neutralità carbonio» entro il 2050, una delle misure-pilastro del Green deal: il settore agricolo è stato nuovamente escluso dagli sforzi ambientalisti necessari per il prossimo decennio. Di fronte alle proteste, a quattro mesi dal voto e con una campagna elettorale da costruire, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, vuole correre meno rischi possibili e così è scomparsa dalle indicazioni la riduzione del 30% delle emissioni di metano, azoto e altri gas legati all’agricoltura. Pazienza se così si compromette la promessa di azzerare le emissioni entro il 2050, dal momento che l’agricoltura rappresenta il 14% circa delle emissioni prodotte nell’Ue. Von der Leyen ha anche annunciato di voler ritirare uno dei provvedimenti più contestati dagli agricoltori, il Sur, che prevede la riduzione del 50% dell’utilizzo dei pesticidi entro il 2030. In realtà, dal punto di vista pratico, la rinuncia a questo obiettivo non rappresenta un cambiamento: il Parlamento europeo aveva già bocciato il Sur. Ma dal punto di vista dei simboli e della comunicazione è efficace: la Commissione ha la possibilità di dire ai contadini che non sarà più punitiva sui pesticidi, i contadini potranno dire di aver vinto la battaglia dei pesticidi, una battaglia immaginaria.
Le concessioni non sono finite qui. È stato rinviato un altro obbligo, che era quello di mettere a riposo il 4% dei terreni coltivabili ogni anno (la rotazione che i contadini con imprese piccole dicono di non potersi permettere), e sono state introdotte salvaguardie per limitare le importazioni di prodotti agricoli dall’Ucraina. Lo spettro ucraino è uno dei più dibattuti e molti esperti non escludono che, tra le pieghe di queste insistenti rivendicazioni, si sia infilata anche la propaganda russa: nei Paesi confinanti con l’Ucraina l’impatto dell’arrivo dei prodotti agricoli ucraini c’è stato ma non è misurabile perché esiste un embargo nazionale dallo scorso anno contrario alle regole comunitarie. Sul resto dell’Europa c’è stato un aumento delle importazioni soprattutto di polli, zucchero e uova, ma proprio il «pollo ucraino», che viene sbandierato dai contadini come il flagello che ha stravolto la concorrenza e il mercato interno, è un buon esempio per mettere in prospettiva la questione ucraina nella battaglia dei contadini. Il pollo ucraino costa circa la metà dei polli prodotti in Europa in quanto l’Ucraina ha costi di produzione più bassi e meno regolamentazioni da rispettare, ma proprio questa sua caratteristica ha salvato l’Ue dall’inflazione lo scorso anno, perché parte degli allevamenti europei è stata decimata dall’aviaria e, se non ci fossero stati i polli ucraini, i prezzi sarebbero saliti di molto.
La Commissione europea ha anche fatto sue le concessioni volute da altri Paesi, in particolare dalla Francia, sospendendo la conclusione dell’accordo di libero scambio con il Mercosur (il mercato comune di parte dell’America del sud) e ha promesso entro la fine di febbraio di presentare una proposta per ridurre il carico amministrativo degli agricoltori. Il paradosso è ben visibile sin dall’inizio delle proteste: la categoria più sussidiata d’Europa, con un terzo del bilancio europeo allocato, contribuisce per l’1,4% del Pil e per il 4% dei posti di lavoro del mercato europeo. Ma allo stesso tempo è evidente la sofferenza economica: in Europa vivere facendo i contadini è diventato quasi impossibile. Il vero tema, che non è stato affrontato nelle decisioni prese nelle settimane di proteste, è distributivo dentro allo stesso settore agricolo: l’industria agroalimentare è molto florida, i piccoli agricoltori non arrivano alla fine del mese. Il Green deal c’entra poco rispetto al problema di evitare di sussidiare le rendite dell’industria agroalimentare a discapito delle realtà più piccole. Per questo la protesta dei trattori risulta molto efficace: bisognerà vedere poi se lo è davvero per i contadini con le loro mucche che fanno i blocchi per le strade.