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Il castello di Tarasp

/ 12/02/2024
Oliver Scharpf

Come caduta nel bel mezzo del laghetto ammantato di neve, ai piedi del castello lassù, c’è una luna d’acciaio inossidabile. Sullo sfondo peccete come macchie d’inchiostro, montagne acuminate, un ponylift. I crateri lunari sono visibili anche da lontano, sulla superficie lucidata a specchio di questa luna di tre metri e venti di diametro made in China. Nell’atelier pechinese di Not Vital: artista nato a Sent nel 1948 e dal 2016 proprietario del castello di Tarasp. Illuminato, la sera, sovrastante fiabesche peccete innevate a perdita d’occhio, è rimasto un ricordo d’infanzia nitido di quando andavamo a sciare a Vulpera. Rivisto poi diverse volte in questi ultimi anni, dal treno, non ha perso niente della sua magia che mi è sempre parsa esulare molto dalla barbosità classica di molti castelli. Risalente al 1040, viene salvato dallo sfacelo nel 1900 da Karl August Lingner (1861-1916): imprenditore di Dresda conosciuto come l’inventore dell’Odol, collutorio antibatterico pubblicizzato persino da Giacomo Puccini. Un’altra opera d’arte, se passate dalle parti del castello abbarbicato su uno sperone, la trovate al restaurant Chasté. In un piatto a forma di pesce, quenelle di luccio affogate in una salsa di astice: specialità della casa da più di mezzo secolo.

Alle due e mezza c’è l’appuntamento con la visita guidata. È uscito il sole che ravviva i colori di una cappelletta dove sono affrescati Santa Margherita e il drago tenuto al guinzaglio-catena. Cammino a rilento, ondeggiando nella salita al castello color crema stanco, criminale sarebbe stato rinunciare al dessert bomba. Con gli occhi, laggiù, agguanto un frammento dell’House to watch the sunset (2018): ispirata dalle ziggurat sumere, questa casa per guardare il tramonto in Bassa Engadina, è in beton ricoperto in parte di neve. Una sorella fatta di limo è in Niger, ad Agadez, dove Not Vital ha anche fatto costruire una scuola coranica e una torre per le tempeste di sabbia. La terza, di legno, si trova in Amazzonia. Del resto l’artista nomade che ha vissuto molti anni a New York, ha anche un atelier in Brasile. In cima al castello, a lungo enclave austriaca, sventola infatti la bandiera brasiliana. Dentro le mura, nella neve, svetta una lingua di manzo sovradimensionata. In acciaio inox, della stessa altezza del David di Michelangelo, l’idea di questa scultura cruda, erotica, totemica, è nata, secondo Alma Zevi – massima esperta di questo artista (la prima volta che l’ho sentito nominare credevo fosse un nome d’artista autoironico giocato sul non essere di vitale importanza) – facendo un calco, a Lucca, a metà anni Ottanta, appena uscito da una macelleria.

Se vi voltate, appesi, sulle mura d’entrata nella corte del castello di Tarasp (1502 m), ci sono, in gesso, copia di quelli del David michelangiolesco, ingigantiti, due testicoli. Scettico in partenza, come lo sono per artisti a effetto tipo Cattelan e Hirst, per Not Vital mi devo ricredere: talmente strafottente ed elegante che alla fine lo trovo valido. La conferma è dentro il castello, ristrutturato senza enfasi grazie al fratello architetto Duri Vital, dove gran parte degli arredi provenienti da case patrizie alpine, collezionate dall’inventore dell’Odol, sono stati mantenuti. Le sue opere ci sono, però in giusta misura, dosate qua là. Nella sala da pranzo in cembro, tra una litografia con le prime lettere dell’alfabeto di Piero Manzoni, collezioni di antica ceramica cinese e giapponese, una fotografia di Joseph Beuys, spuntano una serie di lingue versione soprammobile.

Dalle finestre la vista lascia, non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo, a bocca aperta. Anche due trofei di caccia in bronzo, con una lettera decorativa per corna, non leggibilissima subito apposta, a un primo rapido sguardo, stupiscono. «Al di là del loro aggraziato danzare tra le corna, quelle lettere – ricomposte – sono l’imprecazione detta in faccia a chi ha fatto dell’animale un trofeo da parete domestica» rivela Simone Soldini in occasione della mostra di Not Vital al Museo d’arte di Mendrisio qualche anno fa. Il titolo dell’opera è FUCK YOU (1991-1992). La nostra guida che sembra un addetto fuggito dal ponylift, seduto al famoso organo Jehmlich, gloria maggiore del castello dell’epoca Odol, a metà pomeriggio ai primi di febbraio, suona A Whiter Shade of Pale (1967) dei Procol Harum.