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Turismo intelligente?
Claudio Visentin
Anche nel turismo è cominciato il tempo dell’intelligenza artificiale. Secondo una ricerca di «Statista» (The statistics portal for market data, market research and market studies), i relativi ricavi sarebbero passati dal 9% nel 2018 al 21% nel 2021 e quest’anno potrebbero salire al 32%; quasi un terzo del fatturato annuale in questo settore dipenderebbe allora dall’intelligenza artificiale.
Come ha raccontato il «New York Times», già lo scorso anno sono comparse decine di guide turistiche compilate e promosse con l’aiuto dell’intelligenza artificiale generativa. Il testo viene assemblato attingendo alle risorse disponibili in rete, mentre le immagini sono prese dagli archivi digitali o create appositamente. Segue l’autopubblicazione on demand e purtroppo, in qualche caso, anche l’acquisto di recensioni ingannevoli. Spesso il nome (falso) in copertina riecheggia quello di autori ben noti (per esempio Mike Steves invece del più conosciuto Rick Steves). Ovviamente il prodotto finale è un’accozzaglia di materiali disparati con descrizioni vaghe e testi ripetitivi, ma alcune di queste guide hanno comunque scalato le classifiche di vendita perché costano meno delle loro rivali ed è difficile accorgersi dei limiti prima di ordinarle.
Non è un gioco innocente; per alcune destinazioni una pessima guida può essere pericolosa prima ancora che deludente. Per esempio un manuale su Leopoli, Ucraina, incoraggia i lettori a «fare le valigie e prepararsi per un’avventura indimenticabile in una delle destinazioni più affascinanti dell’Europa orientale», ma dimentica di menzionare la guerra in corso (sempre che non sia questa l’avventura indimenticabile). Per il momento i prodotti dell’intelligenza artificiale sono ancora abbastanza riconoscibili ma le macchine migliorano continuamente la loro prestazione attingendo alla fatica di chi ha consumato tempo e suole delle scarpe per comprendere e raccontare una destinazione.
Nel frattempo si stanno riducendo di molto i confini tra ambiti tradizionalmente ben distinti. Sino a poco tempo fa quando si cominciava a pensare alla prossima vacanza la raccolta delle informazioni poteva prendere settimane o mesi, esplorando geografie diverse. Poi altrettanto gradualmente, tra incertezze e ripensamenti, si arrivava alla vera e propria prenotazione. Ora questi intervalli sembrano contrarsi e fondersi nell’instant economy. All’intelligenza artificiale si chiede soprattutto di personalizzare l’esperienza dei consumatori, fornendo loro prodotti su misura.
Ogni nostra navigazione in rete lascia dietro di sé una scia di dati preziosi per le aziende. Inconsapevolmente scivoliamo nello spazio del marketing e riceviamo delle informazioni accuratamente selezionate sulla base dei nostri interessi – distanze, tempi di percorrenza, attrazioni, costi – che si traducono infine in una proposta d’acquisto. La finta ingenuità degli assistenti virtuali ci conduce per mano verso esiti prevedibili, sino a far convergere tutto nel click! finale dell’acquisto d’impulso.
Così sarà, pare di capire, per la maggior parte dei turisti, specie quelli con poco tempo a disposizione e dunque in cerca di soluzioni semplici e chiare. Altri invece, in numero minore ma non irrisorio, potrebbero muoversi in direzione marcatamente contraria. Secondo un’analisi di Gartner, una società di ricerca americana, metà degli utenti mostra segni di disaffezione nei confronti dei social e medita di limitarne l’uso in maniera significativa nel prossimo anno. Ed ecco allora che questi viaggiatori (forse vorranno essere chiamati così) potrebbero volgersi invece a fonti più tradizionali per ispirazione e informazione – libri di viaggio, guide turistiche cartacee, il passaparola di amici esperti – lasciando spazio a scoperte ispirate dal caso piuttosto che dalle logiche interessate dell’algoritmo.
Per esempio Nicolas Bouvier, il grande viaggiatore ginevrino, vedeva nel viaggio la realizzazione dei sogni infantili: «È la contemplazione silenziosa degli atlanti, su un tappeto, a pancia in giù, tra i dieci e i tredici anni, che dà la voglia di piantar tutto. Ci si ritrova a pensare a regioni come il Banato, il Kashmir, o il Caspio; alle musiche che vi risuonano, agli sguardi che si incontrano, alle idee che vi aspettano…».