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Il tempo non misurabile del vivere
Lina Bertola
Più volte mi è capitato di sottolineare il valore della lentezza, di quel sostare nel tempo che alimenta l’esperienza intima di sé e dà voce al proprio sentimento di interiorità. La lentezza è un ritmo prezioso dell’anima, capace di contrastare il continuo essere sballottati sulla superficie di un tempo reale che scandisce il nostro fare quotidiano. In una giornata qualsiasi possono però verificarsi situazioni inattese, magari di per sé insignificanti, che punzecchiano il desiderio di capire meglio.
In una fredda domenica di gennaio, un paio di episodi mi hanno invitata a cercare di meglio capire il nostro rapporto con il tempo, di provare a comprendere un po’ di più il senso del suo manifestarsi nei nostri vissuti.
Il primo episodio di buon mattino. Mentre mi accingo a leggere un articolo che desta il mio interesse, ecco che, a mo’ di frontespizio, vengo colpita da questo avviso: tempo di lettura 5’22’’. Non ci avevo mai fatto caso, ma questo monito temporale sembra stia diventando una prassi assai diffusa.
Qualche ora più tardi, un po’ per caso, mi ritrovo dentro un magnifico paesaggio, ad ammirare una discesa libera di sci in diretta tv. Che spettacolo! Tutti velocissimi a danzare sulla neve, tutti concentrati nell’abbraccio del tempo che poi però distribuisce medaglie anche nello spazio di pochi centesimi di secondo: basta un attimo, un istante impercettibile, e sei fuori dal podio. I centesimi di secondo non li sentiamo battere nemmeno quando il cuore è più agitato, eppure questa temporalità, così estranea al nostro sentimento della vita, può diventare un limes, una soglia esistenziale, un’espressione della qualità del nostro esserci, ben al di là delle rigorose quantificazioni del cronometro.
Quale allora il valore del tempo per il nostro vissuto, che cosa ci racconta di noi stessi? Nel susseguirsi di questi due episodi mi sono venute in mente le parole, fin troppo citate, in cui Sant’Agostino confessa di non saper dire che cosa sia il tempo. Con questa domanda in testa, torno allora a rivisitare i due momenti.
L’annuncio perentorio dei minuti e secondi necessari alla lettura mi è parso un segno di quanto poco sia valorizzata la bellezza di poter sostare nel tempo. Certo, anche la quantificazione di un tempo standard può avere senso per chi deve organizzare la sua giornata. Ma nel quantificare puntualmente il tempo di lettura, immagino al ritmo di una Siri qualsiasi, si dimentica che leggere è sempre un incontro con il proprio mondo interiore. Dire che occorrono 5’22’’ per arrivare in fondo alla pagina significa dare a questa esperienza lo stesso significato della programmazione del timer per cuocere l’uovo 4’15’’ (ve lo consiglio, è buonissimo).
Ma c’è un altro motivo, sottotraccia, apparentemente non detto: «guarda che lo so che tu non hai tempo da perdere, ma se ti interessa questo argomento sappi che devi prenderti cinque minuti e ventidue secondi». È la voce autoritaria dell’agenda che pretende di tenere a bada ogni nostra possibile sosta nel tempo, imprigionandola nel suo amato «tempo reale». Questa dimenticanza del valore intimo del tempo non l’ho invece percepita nel momento in cui il fotofinish ha accolto i discesisti esausti a fine gara.
Tra le due situazioni mi è parso di poter cogliere una differenza. In quest’epoca piena di codici, modelli e algoritmi, per quanto necessari in certi ambiti, anche la misura della quantità di tempo necessario per la lettura rischia di soffocare la qualità dei nostri vissuti. La misura del fotofinish offre invece una situazione capovolta. Qui una quantità impercettibile, proprio perché così estranea al nostro sentire, riesce a trasformarsi in una qualità, in un sentire personale. La gioia del podio, o la delusione di chi è rimasto fuori, nutrono sentimenti che abitano in profondità questi ragazzi, sentimenti che raccontano il loro esserci qui adesso, in un tempo che si dilata, ben al di là del cronometro.
Anche se puntualmente scandito, questo tempo diventa un tempo diverso da quello già evocato di cottura, o dal tempo di percorrenza gentilmente segnalato dal navigatore, o ancora dai 5’ in piedi altrettanto gentilmente imposti, ogni ora, dall’orologio elettronico e dai tanti altri orologi che scandiscono le nostre giornate. La velocità del fotofinish, forse un po’ paradossalmente, apre alla percezione delle qualità non misurabili della vita.
Lentezza senza orologio e rapidità cronometrata si incontrano in quel tempo dell’anima che, come aveva capito Sant’Agostino, ne custodisce il senso più vero ma che rimane tuttavia indicibile.