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La strana amicizia tra Jessie White e Giuseppe Mazzini
Melania Mazzucco
La spedizione di Carlo Pisacane che mira a scatenare l’insurrezione nel Mezzogiorno fallisce tragicamente, col comandante e 83 volontari massacrati con roncole e falci dai contadini di Sanza.
Giuseppe Mazzini fugge in Inghilterra ma Jessie viene arrestata, come Alberto Mario. Trascorre quattro mesi nel carcere di Sant’Andrea. La separazione e la prigionia cementano il loro rapporto: rilasciati, si trasferiscono in Inghilterra e si sposano.
Ma Jessie White non si pente né rinuncia alla causa. Anzi «Miss Hurricane» si sobbarca un tour di conferenze negli Stati Uniti, per conquistare l’opinione pubblica americana, che però interrompe alla notizia della nuova guerra con l’Austria: Jessie e Alberto rientrano in Italia ma nell’agosto del 1859 vengono di nuovo arrestati ed espulsi. Si rifugiano a Lugano.
Intanto matura la spedizione dei Mille: Jessie White Mario vi partecipa, imbarcandosi nel giugno del 1860 col secondo gruppo di volontari, guidato da Medici. Si fa notare sul campo di battaglia per il coraggio con cui recupera e assiste i feriti. Durante la risalita nel regno dei Borboni, la disperata miseria degli abitanti la sconvolge.
La spedizione del 1860 ha successo, anche se lo Stato italiano che nasce nel 1861 sotto il segno dei Savoia non è quello sognato da lei e nemmeno da Alberto. I due sposi non hanno le stesse idee. Lui è divenuto un convinto federalista: ma le divergenze politiche non contano quando si tratta di costruire una Nazione. E una volta nata, bisogna poi operare affinché sia giusta.
Jessie seguirà Garibaldi in tutte le campagne delle camicie rosse (la terza guerra d’Indipendenza del 1866, la sfortunata spedizione di Monterotondo e Mentana del 1867, quella del 1870 in Francia, la guerra franco-prussiana) – come infermiera, organizzatrice dei servizi sanitari e corrispondente di guerra per svariati giornali, inglesi e americani.
Jessie White è diventata davvero una giornalista (forse la prima embedded della storia), ma anche un’eroina e un personaggio di cui – ammirati – scrivono gli altri.
La fase epica della sua vita si conclude nel 1870. Jessie ha ormai quasi quarant’anni. Ma non diventa una moglie e una donna di casa. Peregrina col marito di città in città, finché l’amnistia consente loro di stabilirsi nella di lui natia Lendinara.
Nei decenni successivi, mentre la neonata Italia tradisce via via le promesse del Risorgimento, si dedica alla scrittura. Raccoglie documenti e memorie dei patrioti (dopo la morte di Mario, scriverà anche di lui). Ma collabora anche con le nuove istituzioni con inchieste sul campo volte a documentare, e possibilmente cambiare, le condizioni materiali degli oppressi: i contadini, le donne, i bambini, gli orfani, le meretrici (propugna l’abolizione della prostituzione di Stato).
Impressionanti lo scrupolo e la lucidità con cui nel 1877 esplora per un giornale partenopeo, «Il Pungolo», le miserie di Napoli – i degradanti tuguri nelle grotte, lo sfruttamento, il marciume del sistema dell’assistenza.
Alberto Mario, che per coerenza repubblicana ha rifiutato il seggio in Parlamento, la lascia vedova nel 1883. Dal 1896, per mantenersi, Jessie insegna inglese alla Scuola normale di Firenze. Feconda è anche l’educazione impartita alle figlie di Achille Sacchi ed Elena Casati, sua «sorella d’anima», scomparsa precocemente nel 1882: Ada e Beatrice diverranno le «sorelle del suffragismo italiano».
Jessie White è morta povera, nel 1906, e non ha potuto vedere il frutto della sua e della loro battaglia.
Le donne hanno dovuto attendere il 1946 per ottenere il diritto di voto; i bordelli tollerati dallo Stato sono stati aboliti dalla legge Merlin nel 1957; la scuola dell’obbligo gratuita per tutti è stata istituita nel 1962… Ma di Jessie White, che non ebbe discendenza propria, dobbiamo tutte proclamarci figlie.
(Seconda parte – fine)