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Morituri te salutant, ovvero the show must go on
Giancarlo Dionisio
Chi fa spettacolo lo fa anche per chi, malato di «voyeurismo», è disposto a sottoporsi alla prova del sangue. Quello degli altri. Non vado a ravanare nel repertorio delle discipline estreme. Mi limito a una breve disamina di uno spettacolo che da novembre a marzo entra settimanalmente nelle nostre case. Nei giorni scorsi la pista del Lauberhorn di Wengen ha ospitato quattro gare in altrettanti giorni. Tre di queste riservate alle discipline veloci. Si sono verificati alcuni incidenti di portata considerevole.
Per Alexis Pinturault, stagione conclusa a causa della rottura di un crociato del ginocchio. Il giorno successivo la sorte pareva essere stata ancora più ria nei confronti di Aleksander Aamodt Kilde. All’uscita della esse finale, il norvegese, stremato, ha perso il controllo degli sci ed è andato a sbattere violentemente contro le reti di protezione. Immobile a lungo, è stato trasportato in ospedale imbragato e appeso a un elicottero. Per chi ha memoria storica, il pensiero è corso ai drammi del passato. Quello dell’austriaco Gernot Reinstadler, che proprio nello stesso punto, e per giunta in una discesa di prova, concluse la sua breve esistenza sulle nevi di Wengen. E come dimenticare le dissolvenze tra le immagini del tragico incidente mortale di Ulrike Maier, con quelle di lei, mamma, che solleva al cielo, la sua piccola creatura. In fondo anche quella fu una forma subdola di istigazione al voyeurismo.
A Kilde è andata meglio. In un primo momento si supponeva una frattura scomposta di un femore. Se l’è cavata con la lussazione di una spalla e parecchie contusioni. Lo rivedremo. Non è nuovo a un calvario del genere. Il suo volo è servito a far parlare i diretti interessati, gli sciatori. Per fortuna, ad aprire il libro, sono stati i primi tre classificati nel terzo sforzo consecutivo in programma. Marco Odermatt, fenomenale trionfatore delle due discese, ha accennato al «retrogusto amaro della sua vittoria, che non è stata la gara più giusta». Più caustico il secondo classificato, il francese Cyprien Sarrazin: «La caduta poteva essere evitata, disputare tre gare di velocità di fila e chiudere con la discesa più lunga della Coppa del Mondo è troppo». L’altoadesino Dominik Paris, terzo, ha puntato il dito contro il calendario: «Non credo che le doppie gare siano ottimali. Il calendario è estenuante».
Originariamente, quest’ultimo tiene in considerazione le esigenze di atleti e atlete. Tuttavia, l’eccezione verificatasi a Wengen, rischia di diventare una costante. Il riscaldamento climatico sta sconvolgendo l’afflusso di acqua e neve sul pianeta, alternando preoccupanti periodi di siccità, ad altri in cui le piste vengono travolte da nevicate ipercopiose. Se vorrà conservare il numero di gare in calendario, la FIS sarà chiamata a concentrare più prove nelle poche località in cui si possono svolgere in condizioni ideali di innevamento. Contraddizioni e pericoli saranno sempre più spesso in agguato.
Finora showman e showgirl si sono loro malgrado adeguati. Fino a quando? Sono coscienti del fatto che il rischio-zero non faccia parte del loro mondo. Tuttavia, si tratterà di volta in volta di sedersi al tavolo per tentare di conciliare gli interessi sportivi della Federazione con quelli commerciali degli sponsor e, soprattutto, con quelli umani di chi è chiamato a lanciarsi a 130 all’ora sulla neve ghiacciata con i piedi agganciati a due listarelle larghe dieci centimetri, lunghe poco più di due metri.
A scanso di equivoci, per coloro che hanno una relazione saltuaria e superficiale con le competizioni sciistiche, aggiungiamo che la giornata di un/a discesista non si limita ai due minuti di brivido. Lanciarsi sul ripido a mezzogiorno, significa alzarsi all’alba, alimentarsi adeguatamente, salire in quota parecchie ore prima della partenza, effettuare l’ultima meticolosa ricognizione, preparare a puntino abbigliamento ed equipaggiamento, e attendere, evitando tensioni e ansie, il momento in cui le gambe apriranno il cancelletto di partenza e faranno scattare la fotocellula cronometrica. Alla fine, chi non vince se ne torna in albergo. I migliori saranno sottoposti ai consueti, inevitabili rituali: interviste radiotelevisive, controllo antidoping, conferenza stampa. E il giorno dopo, e quello successivo ancora, tutto si ripropone. Come sul Lauberhorn. Evitare lo stress significa limitare i rischi. Non sarà facile, ma sarà indispensabile provarci. Ne va dell’incolumità dei protagonisti e della credibilità dell’ambiente.