Asperiores, tenetur, blanditiis, quaerat odit ex exercitationem pariatur quibusdam veritatis quisquam laboriosam esse beatae hic perferendis velit deserunt soluta iste repellendus officia in neque veniam debitis placeat quo unde reprehenderit eum facilis vitae. Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisicing elit. Nihil, reprehenderit!
Flaiano grande scrittore, non solo giornalista versatile
Aldo Grasso
Non c’è giornalista che non abbia usato una battuta di Ennio Flaiano. Ne riporto alcune: «[Gli italiani] Questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti e di cognati…», «Anime semplici abitano talora corpi complessi», «Afflitto da un complesso di parità. Non si sente inferiore a nessuno», «I giovani hanno quasi tutti il coraggio delle opinioni altrui», «Il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso», «La situazione politica in Italia è grave ma non è seria».
Parliamo di Flaiano, il sempre citato Ennio Flaiano (Pescara, 5 marzo 1910 – Roma, 20 novembre 1972). Sopraffatti dalla «flaianite» (Giovanni Russo), quell’abitudine un po’ infantile di attribuire battute ed epigrammi a Flaiano nel corso di un qualsiasi talk show e di trasformarlo in una sorta di grande battutista televisivo, fatichiamo a scoprire il grande scrittore dissimulato dietro il giornalista versatile, lo sceneggiatore di Fellini, l’aforista aperto a interessi di ogni genere. E in effetti è così: dici Flaiano e pensi al racconto ingegnoso e fulminante, all’apologo amaro e grottesco, al taccuino da viaggio (suo un memorabile reportage televisivo sul Canada), al dialogo corrosivo e sarcastico, all’aforisma che non si lascia più dimenticare. «Flaiano le flâneur» («Le Monde») è uno straordinario scrittore che pare poco attratto dall’architettura chiusa del romanzo, timoroso forse di restarne prigioniero, e più propenso invece a «passeggiare» fra generi minori, fra le manie del mondo culturale, per disseminarvi a piene mani tutto il suo disincanto, la sua lucidità, la sua malinconica e brillante intelligenza.
Nel ritratto che di lui ci lascia il critico Giorgio Zampa è descritta con vividezza la fatica che si compie ad assoggettarlo all’ufficialità dello scrittore: «Un liberale diffidente di tutto e di tutti, cominciando da sé, immune da cinismo e da ubriacature ideologiche e da interessi di partito. Più che al narratore si dette rilievo al diarista, al columnist, al cronista di una precisione e vivacità da decalcomania, all’inventore di soprannomi storici, adottati in tutto il Paese; pure riconoscendo qualità a Tempo di uccidere, unico romanzo scritto e pubblicato nel 1947, si convenne che Flaiano aveva dato piena misura di sé nelle pagine a ruota libera, fitte di osservazioni ambientali, di riflessioni su tutto e tutti, di accensioni fantastiche sprigionate dall’attrito con la cronaca, con i fatti del giorno».
A ventitré anni, Flaiano cominciò la sua attività di giornalista. Scrisse su «Oggi», «Documento», «Mondo», «Il Corriere della sera», «L’Espresso», «Il Risorgimento liberale», «Omnibus». E non solo, continuava a scrivere anche in altre forme, in altre posture. È stato uno degli sceneggiatori più richiesti: ha scritto per Fellini ma anche per Rossellini, Lattuada, Pietrangeli, Risi, Antonioni, Monicelli, Zampa, Ferreri.
Più passa il tempo, più si rivede La dolce vita e più la distanza tra Fellini e Flaiano prende corpo. Non tanto per lo sgradevole incidente che avrebbe rotto il sodalizio (il famoso viaggio in aereo a Los Angeles che vede Fellini seduto in prima classe con Angelo Rizzoli e Flaiano in economica), quanto perché tra i due c’era una profonda distanza culturale che, tra le pieghe, il film lascia trasparire.
Ne La solitudine del satiro, Flaiano scrive: «Sto lavorando, con Fellini e Tullio Pinelli, a rispolverare una nostra vecchia idea per un film, quella del giovane provinciale che viene a Roma a fare il giornalista… Il film avrà per titolo La dolce vita… Uno dei nostri luoghi dovrà essere forzatamente via Veneto… Il giovane provinciale è già ben piazzato, guadagna, e uno di quei giornalisti prodotti dalla civiltà della sensazione, cioè racconta gli scandali, le fesserie che fanno gli altri. Si è lasciato adottare da quella stessa società che lui disprezza». Ma quando Flaiano vede in proiezione alcune scene del film commenta: «Il gongorismo, l’amplificazione di Fellini nel ritrarre quel mondo di via Veneto fa pensare al museo delle cere, le immagini dei quaresimalisti quando descrivono la carne che si corrompe e imputridisce… Fellini quaresimalista? É un’ipotesi tentatrice».
«Flaiano – scrive Arbasino in Ritratti italiani (Adelphi) – si sentiva un classico minore – e questo lo ha scritto e ripetuto parecchio – e, in quanto classico, duraturo, oltre a provare un innato orrore per la volgarità».
Per fortuna ci restano i suoi libri, un’eredità di acume e intelligenza, ironia e malinconia più viva che mai.