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Il femminicidio nella musica

/ 22/01/2024
Bruno Gambarotta

«Cara Butterfly, noi saremo costretti a farvi morire in scena, ma voi con arte profonda e squisita farete vivere l’opera nostra». Firmato Giacomo Puccini, Giuseppe Giacosa, Luigi Illica. Milano 17 febbraio 1904, debutta alla Scala l’opera Madama Butterfly di Giacomo Puccini, su libretto di Illica e Giacosa. Il messaggio è indirizzato al soprano Rosina Storchio che, nel ruolo di Butterfly, nel finale dovrà fare harakiri quando vede l’americana che il tenente Pinkerton, padre di suo figlio, ha sposato.

Nell’opera italiana la protagonista dispone di sei opzioni per concludere in bellezza (si fa per dire) la sua vicenda: essere uccisa, suicidarsi, condividere il sacrificio con l’uomo amato, morire tisica, impazzire, morire per sfinimento. Il suicidio è il modus operandi che ricorre con maggior frequenza. Prima di Butterfly Giacomo Puccini aveva spinto Tosca a gettarsi giù dagli spalti di Castel Sant’Angelo a Roma, quando scopre che il suo amato Cavaradossi è stato fucilato sul serio e non con fucili caricati a salve. Non è finita: Suor Angelica si avvelena quando le rivelano che il figlio avuto da un’illecita relazione è morto. Nel catalogo di Puccini troviamo un quarto suicidio nell’opera rimasta incompiuta per la morte del musicista, Turandot. Liù è una schiava che rifiuta di svelare a Turandot il vero nome del principe Calef di cui è innamorata. Torturata, si uccide. Molti operisti scelgono il veleno per far uscire di scena le eroine.

È il caso di Umberto Giordano con la sua Fedora, principessa russa, che si avvelena quando il suo amato Loris la maledice. Fernando Cilea è ancor più raffinato: la sua Adriana Lecouvreur muore avvelenata dal mazzolino di violette inviato dalla principessa di Bouvillon, gelosa perché Maurizio di Sassonia la preferisce.

Anche Giuseppe Verdi ricorre talvolta al veleno. Luisa Miller, per salvare suo padre condannato a morte, scrive una lettera dove dichiara di aver raggirato Rodolfo. Lui, dopo averla letta, versa del veleno in un bicchiere che fa bere a Luisa e ne beve anche lui. I due muoiono abbracciati. Nella più benevola delle ipotesi l’eroina la facciamo morire di sfinimento e di sete. È quello che accade alla Manon di Giacomo Puccini, in una landa desolata dalle parti di New Orleans. Fra le eroine assassinate in scena la più celebre è la Desdemona di Verdi, soffocata con un cuscino dal moro Otello istigato da Jago che gli dice di aver visto il suo fazzoletto nelle mani di Cassio. Sempre di Giuseppe Verdi è Gilda, figlia di Rigoletto il quale commissiona a Sparafucile l’assassinio del duca di Mantova che ha sedotto sua figlia. Ma Gilda, ancora innamorata, si sostituisce a lui e si fa ammazzare. Una variante è offerta dalle eroine che nella vita reale hanno subito la condanna a morte. È il caso dell’Anna Bolena di Gaetano Donizetti. Anna è l’infelice moglie di Enrico VIII che vuole disfarsi di lei per sposare Giovanna Seymour. Per farlo deve riuscire a dimostrare che Anna l’ha tradito. Fa tornare dall’esilio Percy, segretamente innamorato di Anna, che accetta di riceverlo e con l’occasione respinge le sue profferte. Ma il paggio Smeton, anche lui innamorato della regina, l’accusa di adulterio. Se Anna si dichiarasse colpevole si salverebbe. Invece si protesta innocente, è condannata a morte e rinchiusa nella Torre. Sarà decapitata. Altra testa di donna decollata per merito di Donizetti è quella di Maria Stuarda, per ordine della regina Elisabetta che rifiuta un gesto di clemenza. L’emozione dello spettatore tocca il suo diapason nel caso delle eroine che decidono di condividere il destino tragico dell’amato. Per Giuseppe Verdi, Aida, schiava etiope, sceglie di farsi rinchiudere nel sepolcro e di morire con il suo amato Radames.

In quest’inventario potremmo proseguire per pagine e pagine. Scrive Antonio Gramsci nei suoi Quaderni dal carcere: «La musica ha sostituito, nella cultura popolare, quella espressione artistica che in altri Paesi è data dal romanzo popolare e i geni musicali hanno avuto quella popolarità che invece è mancata ai letterati». E altrove: «Il melodramma è il romanzo popolare musicato». La mia tesi: l’arte è popolare in quanto, nello svolgimento delle sue narrazioni asseconda i valori e le attese dei fruitori e non li mette in discussione. Di conseguenza per contrastare e combattere la piaga del femminicidio è necessario risalire indietro nei tempi in cui era considerato una conseguenza prevedibile dei conflitti fra l’uomo e la donna condannata per la sua natura al sacrificio.