azione.ch
 



Quando la saliva fa notizia

/ 15/01/2024
Giancarlo Dionisio

La storia del calcio non racconta solo di pedate, gomitate, simulazioni e testate. Queste, oggi, sui grandi palcoscenici, non sfuggono all’occhio implacabile delle numerose telecamere disseminate a bordo campo e sulle tribune. Chiedete a Zinédine Zidane. C’è tuttavia un altro metodo, più subdolo, vile e ripugnante, per manifestare rabbia e frustrazione nei confronti di un avversario: lo sputo. Nonostante la tecnologia, ogni tanto, qualche «lama» riesce a farla franca. È un gesto meno plateale. Non fa ruzzolare a terra il nemico. E se quest’ultimo reagisce, ci sono serie probabilità che sia lui a passare dalla parte del torto. Alla Coppa del Mondo del 1990, in Italia, l’olandese Frank Rijkaard annaffiò copiosamente Rudy Völler. Il tedesco reagì e ci fu un lungo battibecco. Il loro duello proseguì anche sulla via verso gli spogliatoi, sulla quale li aveva istradati il direttore di gara. Tuttavia, in mancanza di una chiara prova tv, l’olandese non venne sanzionato. Sorte diversa, 14 anni dopo, per Francesco Totti. «Er Pupone» fu sorpreso da una telecamera mentre sputava sul volto del danese Yussuf Poulsen. Incassò tre partite di squalifica. La sanzione fu più pesante per Siniša Mihajlović. Per aver lavato la faccia al rumeno Adrian Mutu, in forza al Chelsea, il difensore della Lazio ricevette uno stop di otto partite.

Negli scorsi giorni, questa vomitevole abitudine è tornata in prima pagina grazie ad Adrie van der Poel. Il campione mondiale della strada e del ciclocross ha inumidito uno spettatore con foga e rabbia. L’Unione Ciclistica Internazionale lo ha graziato, infliggendogli solo una piccola multa. Pare che sia stata comprovata la responsabilità da parte di un drappello di «tifosi» che, a ogni passaggio, lo ricoprivano di insulti, sputi e urina. Forse la commissione disciplinare ha tenuto conto della pesantissima provocazione. E la multa sta a significare: «Ragazzo, abbiamo capito il tuo stato d’animo, ma sappi che hai sbagliato. Sei un professionista e non devi cadere in questi tranelli». Il talentuoso corridore non è nuovo a situazioni sul filo della legalità. La notte precedente il Mondiale del 2022, in albergo, aveva maltrattato alcune ragazzine ree di avergli turbato il sonno a poche ore dal grande evento. Anche in quella circostanza fu assolto, poiché si ritenne che fosse stato «provocato in modo irritante e invasivo». Così recitava la sentenza del giudice emessa il 13 dicembre di quell’anno.

Lasciamo il focoso e suscettibile fenomeno olandese alle prese con il suo self control, per spostarci su quello che, secondo noi, è il succo del problema. L’ambiente del ciclismo è a rischio. Per decenni lo si è considerato come una delle isole felici, in cui il tifo contro è bandito. In cui tutti i corridori, dai campioni ai più umili e modesti gregari, vengono osannati e sostenuti dall’intero popolo delle due ruote. L’ultima funambolica generazione di marziani, quella di Pogacar, Vingegaard, van der Poel, Van Aert, Evenepoel, eccetera, sta purtroppo alimentando un preoccupante crescendo di tifo da stadio. Il trattamento riservato a van der Poel in occasione del fatto incriminato, non è altro che la punta di un iceberg sommerso in un mare che ribolle di livori e di astio. Sui social media si moltiplicano i Fans Club, i gruppi di appassionati, di specialisti o pseudo tali. Spesso i toni del linguaggio trascendono i limiti del «bon ton» e giungono persino a fare appello alla violenza fisica, oltre che verbale. L’avversario diventa un nemico. Il campo di battaglia, per ora, sono i vari blog, in cui i sostenitori di Pogacar «fanno a botte» con quelli di Vingegaard o di Evenepoel. A infilare elmo e corazza sono persone che si spacciano per ex corridori, per specialisti di vaglia, gente che dà del tu alla bicicletta. Basta scorrere gli albi d’oro e le classifiche delle corse, per capire che la stragrande maggioranza di costoro non si è piazzato neppure nel Gran Premio dell’Oratorio di Cerignola. Se la parte sana del ciclismo, a partire dall’UCI, alle Federazioni, alle Squadre, ai corridori stessi, non si dà una mossa, il rischio che la battaglia si sposti dai blog alla strada è elevatissimo. Diversamente dagli stadi, non ci sarà un sistema di sicurezza in grado di garantire protezione assoluta. Sarebbe la fine di un sogno, di un mito in cui era bello credere. Un potenziale dramma.