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Passo deciso, destinazione incerta

/ 15/01/2024
Orazio Martinetti

Le consuete «allocuzioni» di Capodanno dei presidenti della Confederazione non lasciano quasi mai traccia nella coscienza della cittadinanza. Sono compitini concisi, condensati in frasi d’immediata comprensione, basici ed equilibrati come vuole la formula governativa collegiale. La ministra della Difesa Viola Amherd, eletta presidente per il 2024, ha riconfermato lo schema, pesando accuratamente parole e accenti. Un «discorso solenne» il suo che sicuramente non entrerà negli annali, pienamente in linea con la sobrietà elvetica. Eppure Viola Amherd qualche spunto critico (non osiamo dire provocatorio) avrebbe potuto esprimerlo, dopo un anno punteggiato di piccoli e grandi traumi, interni ed esterni, dal collasso del Credit Suisse alle ripercussioni dei due maggiori scontri armati che tuttora divampano nell’est europeo e nel vicino Oriente. D’accordo, sono guerre (relativamente) lontane, i cui orrori arrivano nelle nostre case attraverso il filtro degli schermi televisivi. Ma come si è visto nell’ultimo biennio le onde che sollevano (per esempio in campo energetico e umanitario) investono quasi tutto l’emisfero occidentale, con riflessi nel settore degli armamenti e delle relazioni finanziarie (sanzioni anti-russe). Finora l’Unione europea e soprattutto gli Stati Uniti hanno garantito un largo appoggio all’Ucraina. Tuttavia da qualche tempo l’opinione pubblica appare meno compatta e risoluta: si parla sempre più frequentemente di «stanchezza di guerra» unita alla volontà di por fine a conflitti tanto disastrosi quanto insensati.

La Svizzera ha assicurato il suo appoggio all’Ucraina fin dall’inizio delle ostilità, adottando i provvedimenti disposti da Bruxelles e accogliendo numerose famiglie in fuga dalle bombe. Ma poi questo slancio si è arenato, e la Svizzera è venuta meno alla sua missione di soccorrevole samaritana. La Conferenza per la ricostruzione (Lugano, luglio 2022) avrebbe dovuto identificare meglio gli obiettivi da conseguire nei settori in cui la Confederazione ha costruito nei secoli la sua reputazione nel mondo: l’intervento umanitario, il soccorso medico-chirurgico e l’opera di sminamento delle aree agricole. Anche in merito al conflitto israelo-palestinese, la politica non ha brillato: per dieci giorni le due camere federali hanno questionato sull’importo da destinare all’agenzia Onu per l’assistenza ai profughi palestinesi (venti milioni). Alla fine deputati e senatori si sono accordati per una decurtazione di dieci milioni. Non è stato un bello spettacolo per un Paese che, sulla carta, continua a ritenersi l’erede di Henry Dunant. Forse dopo tanti studi e convegni sulle origini dei conflitti non si è ancora capito che i progetti socio-assistenziali e la cooperazione allo sviluppo sono gli unici strumenti di prevenzione della violenza. Purtroppo molti regimi preferiscono acquistare carri armati piuttosto che scavare pozzi per l’acqua potabile.

C’è poi il versante diplomatico, riassunto nella formula dei «buoni uffici». La Svizzera Paese neutrale che però non rimane con le mani in mano ma si offre ai belligeranti come mediatore («neutralité-solidarité», come amava dire Max Petitpierre). L’impressione è che negli ultimi decenni questa decantata funzione sia tramontata. E questo perché il baricentro delle attività diplomatiche si è spostato in altre aree, nella penisola arabica o nell’estremo Oriente, come conseguenza di una generale dislocazione dei poteri politici, economici, tecnologici. Ora, a detta di analisti come Paul Kennedy, gli «animali» che si contendono la scena sono tre: il panda cinese, la tigre indiana e l’aquila americana. Russia e Unione europea sono presenti, ma in secondo piano, come potenze in declino, sfibrate da spese militari esorbitanti (Federazione russa) e da discordie interne (Europa). La buona notizia è che il Consiglio federale desidera rimettersi in moto (questo il messaggio che la fotografia ufficiale ha voluto trasmettere). Passo svelto, volti rassicuranti. Rimane l’interrogativo sulla direzione che il collegio governativo intende prendere, in una selva piena di insidie e di incognite. Chissà se le montagne che la fotografa ha voluto collocare come scenografia di sottofondo dispenseranno agli onorevoli in marcia buoni consigli.