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La strana amicizia tra Jessie White e Giuseppe Mazzini
Melania Mazzucco
«L’unico scrittore sociale che la Democrazia abbia avuto in Italia» – ha sentenziato Giosuè Carducci – «è la signora Jessie Mario». Oggi il poeta che meritò l’epiteto di Vate (e il premio Nobel per la Letteratura nel 1906) è quasi dimenticato, salvo qualche ode nei programmi scolastici. Ma nell’Italia del 1879 la sua parola contava. Deve contare ancora, poiché non dispensava facilmente elogi. Dobbiamo perdonargli l’uso del genere maschile: allora era un complimento. Jessie è stata dunque un’importante scrittrice. Anche se Carducci apprezzava piuttosto le sue inchieste a tema sociale – sui brefotrofi, le opere pie, l’infanticidio, la pellagra, le condizioni dei contadini, dei minatori e del popolo di Napoli – sono notevoli anche le sue biografie dei protagonisti del Risorgimento (Mazzini, Garibaldi, Bertani, Nicotera, Cattaneo, i fratelli Cairoli). Eppure non figurano in nessuna antologia. L’italiano non era la lingua madre di Jessie White. Per lei, nata a Portsmouth nel 1832, in una ricca famiglia della borghesia (i suoi costruivano velieri), l’Italia è stata una scelta e un destino.
Figlia di puritani, era cresciuta fra Bibbia e preghiere. Ma fin da adolescente preferiva l’impegno, la questione sociale, l’emancipazione femminile, gli ultimi: l’azione, insomma. Leggeva i filosofi (il religioso Morell, il liberalista Stuart Mill), seguiva i dibattiti sulle riforme politiche e sociali che agitavano l’Inghilterra (in quegli anni Charles Dickens, pure lui di Portsmouth, mandava in stampa David Copperfield). A diciannove anni pubblicò i primi racconti anonimi con protagonisti operai e contadini: credeva fiduciosamente nell’educazione come pilastro del progresso sociale. Nel 1854 si trasferì a Parigi per seguire i corsi di filosofia del teologo de Lamennais alla Sorbona.
Alla metà dell’800, l’Italia era ancora la meta artistica e culturale dei giovani europei in viaggio di istruzione. Ma era diventata anche il paese del cuore di quanti sognavano di liberarla dall’occupazione straniera, dall’oppressione illiberale e monarchica, e di fondare una nazione unita, democratica e repubblicana. Così doveva essere per Jessie White.
Accompagnando a Nizza la sua amica Emma Roberts, un’aristocratica inglese, vedova, che si considerava fidanzata con lui, conobbe Giuseppe Garibaldi. Al fascino del biondo guerrigliero dagli occhi azzurri, già eroe omerico delle guerre di liberazione nei due mondi, soggiace anche Jessie: ma è l’ideale della causa nazionale italiana che la seduce. Gli promette di rientrare in Inghilterra per studiare medicina e assistere così i volontari delle future spedizioni. L’università però non accetta studentesse, e il sogno libertario di Jessie assume connotazioni più rischiose.
A Londra entra in contatto con Giuseppe Mazzini, l’ascetico profeta della Giovine Italia, lì esule dopo vari processi ed espulsioni, inguaribile rivoluzionario e, secondo i re, i tiranni e la polizia di molti paesi di cui è la bestia nera, corruttore degli animi della gioventù, che trascina alla rivolta e alla rovina: insomma quel che oggi i benpensanti definirebbero un «cattivo maestro». Benché sia giovanissima, Mazzini la considera «seria ed energica» e le affida il compito di conquistare l’opinione pubblica inglese alla causa italiana e di organizzare – con una serie di conferenze dal titolo The emancipation of Italy – una raccolta fondi per finanziare le iniziative pratiche ed editoriali del movimento. Diventano amici, e nulla più riuscirà a guastare il loro rapporto – né le gelosie delle altre adoratrici del profeta né la differenza di opinioni. Nel 1857 Mazzini rientra clandestinamente a Genova e le chiede di raggiungerlo. Jessie arriva dunque nel paese per cui già si è tanto prodigata, e si stabilisce in città come corrispondente del «Daily News». Il che le permette di spostarsi nella penisola, attirando su di sé l’attenzione della stampa. In realtà la professione di giornalista è una copertura perché Jessie è una cospiratrice, coinvolta nell’organizzazione della spedizione di Carlo Pisacane che mira a scatenare l’insurrezione nel Mezzogiorno. Le riunioni si tengono in casa di Alberto Mario, nobile di Rovigo, esule a Genova dal 1849. Carducci lo definì «il più naturalmente repubblicano degli italiani, il più artisticamente italiano dei repubblicani».
La spedizione fallisce tragicamente, col comandante e 83 volontari massacrati con roncole e falci dai contadini di Sanza. Mazzini fugge in Inghilterra, ma Jessie viene arrestata, come Alberto Mario. Trascorre quattro mesi nel carcere di Sant’Andrea. La separazione e la prigionia cementano il loro rapporto: rilasciati, si trasferiscono in Inghilterra e si sposano. Ma Jessie non si pente né rinuncia alla causa. Anzi «Miss Hurricane» si sobbarca un tour di conferenze negli Stati Uniti, per conquistare l’opinione pubblica americana, che però interrompe alla notizia della nuova guerra con l’Austria: Jessie e Alberto rientrano in Italia, ma nell’agosto del 1859 vengono di nuovo arrestati ed espulsi. Si rifugiano a Lugano.
(Continua)