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Quando Iva Zanicchi rischiò di cadere dal palco
Bruno Gambarotta
«Cosa vuoi fare da grande?» mi domandavano quando ero piccolo. «Il reduce», rispondevo. «Vivere esperienze memorabili, invecchiare e poi sfinire il prossimo con i miei racconti».
Sono anni che tengo duro in attesa di questo 70esimo compleanno. Il mio primo incontro con la televisione è nel 1956. In un night di Torino. Avevo 19 anni e lavoravo, si fa per dire, come fotoreporter per un’agenzia. Il boss mi affida un doppio incarico: riprendere la signorina Maria Luisa Garoppo, tabaccaia di Casale Monferrato e campionessa in carica di Lascia o raddoppia? sulla tragedia greca.
La mattina dopo devo partire all’alba per Cervinia per un servizio su un convegno di pubblicitari. La signorina Garoppo, arrivata con due cavalieri, sarebbe stata indotta a prendere parte a ripetuti brindisi augurali. A un certo punto il pavimento della sala danze sarebbe stato tutto ricoperto da materassi a molle e i presenti invitati a ballarci sopra. Io avrei dovuto cogliere con il mio flash l’attimo in cui la celebre campionessa avesse accettato l’invito alle danze. Scorrono le ore, tutti ballano, lei resta inchiodata alla sedia. Sono le tre. Mi faccio coraggio, mi avvicino: «Mi perdoni, ma il bus per Cervinia parte fra due ore». Ha l’aria di una che non ha capito, eppure sono stato chiaro. Mi spiego: «Prima di partire avrei bisogno di scattarle una fotografia». Finalmente! Si mette in posa. «Dovrei farla mentre balla sui materassi». Apriti cielo. Una furia. Mi addita: «Lui vuol farmi cacciare via dal quiz! Il signor Mike mi ha avvertito, guai se esce ancora una mia foto pubblicitaria!». Indietreggio traballando sui materassi e penso che forse quello non è il mestiere giusto per me. Se provassi a fare il cameraman?
Sono trascorsi sei anni, è il 7 aprile 1962, il mio primo giorno di lavoro alla sede Rai di Torino. L’ingegner Liverani mi istruisce: lei vada in uno dei due studi e chieda a un collega di farle provare la telecamera durante le prove. Allo studio 2 stanno registrando Giovanna la nonna del Corsaro Nero. Mi accosto alla numero tre. Il collega: sei quello nuovo? Vuoi provare? Me la molla e sparisce. Indosso le cuffie e seguo le indicazioni della regia. Dopo le prove si passa a registrare il programma, non oso dire niente. Dura un’ora, va tutto bene. La regista scende in studio per ringraziare la squadra, mi vede: «Lei chi è scusi?». È stata la prima delle tante fortune che mi sono capitate lavorando in Rai: essere battezzato dalla grandissima Dada Grimaldi, mancata a 104 anni pochi giorni or sono. Il collega che mi aveva ceduto il posto era Peppo Sacco, colui che anni dopo, creando Tele Biella, avrebbe aperto la diga alla concorrenza delle reti e alla ossessiva caccia all’indice di ascolto.
È difficile rendere l’idea a chi non c’era della centralità e dell’autorevolezza di quella Rai monopolista. Festival di Sanremo, 1958, teatro del casinò, un esordiente sta provando la sua canzone, Nel blu dipinto di blu. Il regista Vittorio Brignole dice al suo aiuto Massimo Scaglione: «Vai a dire a quel Modugno che canti quello che vuole ma non faccia quei salti che lo fanno uscire dall’inquadratura». Le trasmissioni chiudevano alle 23 e se il festival non era ancora terminato, pazienza. Ho debuttato nel 1965. Ero sul palcoscenico, inquadravo il direttore dell’orchestra e la sala. Di fianco a me i cantanti in attesa di entrare in scena. Iva Zanicchi, al suo primo festival con I tuoi anni più belli, in coppia con Gene Pitney, non obbedisce al cenno dell’aiuto regista, resta bloccata. In cuffia dalla regia: «dalle una spinta!». Ho esagerato un tantino, per un pelo non è finita giù dal palco.
Facevo parte della squadra per le riprese dei concerti di musica classica all’Auditorium di Torino. Si prova la Sinfonia dei Salmi di Igor Strawinskj, per coro e orchestra. Nella pausa, nell’ingresso artisti, sono davanti alla macchina dei caffè quando due mani di acciaio mi artigliano i glutei. Mi volto e una giunonica soprano si scusa: «Ti avevo preso per un collega, è dietro di me e quando cantiamo si prende delle libertà».
La regista per le riprese dei concerti, dava gli stacchi seguendo lo spartito. Durante una diretta, invece di un foglio ne volta due e va nel panico. In quel momento sono in onda, inizio a passeggiare sull’orchestra inseguendo i suoni delle varie sezioni. Va a finire che mentre suonano gli archi inquadro gli ottoni che, in pausa, hanno capovolto gli strumenti per far colare la saliva. Un gesto rivoluzionario, Massimo Mila anni dopo se lo ricordava ancora.