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Feat.
Simona Ravizza
«In auto a trecento all’ora (No, no), non ho mai finito scuola (No, no) / Volevo le tasche piene (Bu, bu), avevo la testa vuota (Bu, bu) / Quando il vuoto è nella pancia, faresti qualsiasi cosa / Che tutto è meglio di niente se è niente che ti circonda (Money Gang) / E sto un po’ giù (No, no) se ripenso a mio pa’ (No, no) / Non ha mai visto mio figlio né suo figlio diventare una star (Uh)». In auto con la mia 15enne Clotilde, sul display della radio scorre Momenti No di Sfera Ebbasta feat. Tedua. È l’ennesima volta che nei titoli delle canzoni preferite dalla mia adolescente mi capita di vedere comparire la scritta feat., abbreviazione di featuring, o addirittura anche solo f.. Che cosa sta dietro questa Parola dei figli? Nel gergo musicale il termine – tradotto dall’inglese – significa «in collaborazione con…», a indicare che due o più artisti fanno una canzone insieme.
In macchina adesso risuona: «Ho il culo sopra una Rolls e se l’inferno è low cost / Non seppellitemi coi soldi quando morirò / Non mi affeziono da un tot e lei mi scrive ogni notte / Ma nel cuore non ho niente, ho solo money love». La canzone è Moneylove di Massimo Pericolo feat. Emis Killa. E in cima alla classifica delle canzoni più ascoltate su Spotify nel 2023 ci sono quasi tutte feat.: Gelosa di Finesse, feat. Shiva, Sfera Ebbasta e Guè; Hoe di Tedua, feat. Sfera Ebbasta; Il male che mi fai di Geolier, feat. Marracash; e la lista continua. Ma perché nel rap, musica di riferimento della Gen Z – mi domando – la feat. è tanto diffusa?
Per capirci di più mi rivolgo al collega Andrea Laffranchi, esperto di musica al «Corriere della Sera» che, giusto per farmi sentire subito una boomer, mi fa presente che ai nostri tempi li chiamavamo duetti. Il mio preferito è quello di Fausto Leali e Anna Oxa, a Sanremo nel 1989 con Ti lascerò. Lui: «Ti lascerò andare / Ma indifesa come sei / Farei di tutto per poterti trattenere / Perché dovrai scontrarti / Con i sogni che si fanno / Quando si vive intensamente / La tua età». Lei: «Ti lascerò decidere / Per chi sarà al tuo fianco / Piuttosto che permettere / Di dirmi che sei stanco / Lo faccio perché in te / Ho amato l’uomo e il suo coraggio / E quella forza di cambiare / Per poi ricominciare». Memorabile, sempre al Festival, anche Vattene amore, 1990, Mietta e Amedeo Minghi: «Magari ti chiamerò Trottolino Amoroso, Dudu dadadà» E, per dire, nel 1997 nella hit Can’t stop thinking of you Eros Ramazzotti duetta niente meno che con Tina Turner. Ma la collaborazione tra Mietta e Amedeo Minghi nasce a uso e consumo della kermesse sanremese; Fausto Leali e Anna Oxa diventano grandi amici solo dopo il Festival, mentre Tina Turner si incuriosisce alla storia di Eros che le piace, contatta la sua casa discografica e chiede al manager: «Vorrei fare un duetto con lui». In sintesi, il duetto dei nostri tempi è una collaborazione artistica tra due o più cantanti dietro cui c’è, anche e soprattutto, una strategia di marketing: spesso i cantanti prima di condividere il microfono non si conoscono neppure.
Certamente anche oggi unire i fan dell’uno e dell’altro per fare più streaming (ossia più ascolti su piattaforme con Spotify) è uno dei motivi della diffusione dei feat. ma c’è dell’altro. Innanzitutto, il ruolo del produttore che adesso ama apparire in prima persona. Per esempio in Gelosa, che abbiamo citato prima, Finesse, già nominato ai Grammy, firma la canzone mettendo insieme artisti della propria scuderia. Lui fornisce il sound, gli altri la voce, insieme fanno una feat.
Ma a me, e Andrea è d’accordo, piace anche vederci dell’altro ancora. Nel rap le feat. avvengono il più delle volte tra rapper che hanno storie simili fatte di infanzie difficili, periferie e riscatto. In Momenti No, Tedua canta: «Le cose che avevo eran poche, ma dopo le ho pre-pre-pre-prese», a rimarcare che sia lui sia Sfera vengono dalla strada e poi: «Ho un brivido lungo la schiena ora che Sfera è diventato pa’ (Giona) / Io a ventinove anni ho conosciuto mio papà (Solo ora)». Dietro Colori di Tedua feat. Rkomi c’è l’esser «figli dei film visti insieme», ai tempi della casa condivisa, come canta Tedua stesso in un’altra canzone, Lo-fi for you. Insomma, ci piace pensare che dietro alle feat. non ci siano solo collaborazioni commerciali ma anche storie d’amicizia. Valore molto caro alla Gen Z.