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L’educazione alle relazioni inizia dalle domande

/ 25/12/2023
Silvia Vegetti Finzi

Gentile professoressa,
mi congratulo con lei per aver ricevuto dal Comune di Milano la benemerenza, l’Ambrogino d’oro, per la sua attività. La seguo da anni su queste pagine, ora i miei figli – due maschi e una femmina – sono adolescenti e mi trovo disorientato di fronte alla tempesta mediatica scatenata dal terribile femminicidio della giovane Giulia da parte dell’ex compagno Filippo. È stato uno shock per tutti ma non c’è bisogno di continuare a rendere pubblici tutti i particolari dell’inchiesta né di colpevolizzare tutti i giovani uomini in quanto eredi di secoli di patriarcato. Hanno compreso che non è amore quello che uccide per volontà di potere e di possesso ma se continuiamo a ripeterglielo in modo ossessivo rischiamo la reazione contraria: che non ne vogliano sapere più niente. Colgo favorevolmente la proposta di introdurre nelle scuole corsi di educazione affettiva ma prima di tutto le chiedo: cosa devo fare io?
/ Enrico D.

Caro lettore,
il ruolo di genitore non s’improvvisa ma credo che lei stia svolgendo il compito più importante per un educatore: interrogarsi.
Da quando lei era adolescente molte cose sono cambiate ma per sapere dove andare dobbiamo conoscere da dove veniamo. Quando si denuncia il Patriarcato, cioè una società basata sull’autorità paterna, cui per secoli è stato delegato il potere pubblico e privato, ci si riferisce a un modello in gran parte superato. Ma nulla è mai passato per sempre e residui storici permangono tuttora nella nostra mente. L’ inconscio cambia più lentamente rispetto ai mutamenti esterni e, in soggetti particolarmente fragili e in momenti di crisi, può emergere con violenza inaudita. Ma è vero che, se continuiamo a considerare i ragazzi come colpevoli e le ragazze come vittime, rischiamo di allontanarli invece che di promuovere buone relazioni tra di loro. Chi sta crescendo, affrontando il futuro, ha bisogno di senso critico verso se stesso e gli altri ma non solo. La voglia di diventare grandi si nutre soprattutto di fiducia e di speranza. Per cui il modo più efficace di spronarli e sostenerli è, da parte degli educatori, di testimoniare una buona vita sia in famiglia sia fuori.

In questi anni la cultura umanistica è in crisi, posta ai margini rispetto a quella scientifica. Considerata superata, non svolge più la funzione orientativa di un tempo. Sino a qualche generazione fa bastava agli alunni, per sentirsi compresi e sostenuti, la stima di un solo insegnante, di solito quello di materie letterarie. Era sufficiente la sua approvazione per trovare la forza di realizzarsi senza cedere al conformismo e senza reagire alle norme con comportamenti asociali. Ma se quell’insegnante è in crisi, se si sente isolato e poco considerato come può aiutare gli altri?

Nella cultura umanistica (letteratura, storia, teatro, musica, arti visive,…) sono contenuti valori e modelli di comportamento ad alto valore formativo. Ma pare che ora i bambini abbiano meno parole rispetto ai genitori e quindi meno idee. Abituati a seguire sul cellulare cartoni animati senza interagire, sono diventati una generazione silenziosa, che non fa domande. Invece è proprio dalle domande che inizia l’educazione alle relazioni e all’affettività senza diventare un bla bla bla. Domande che vanno sollecitate sapendo che per diventare efficaci devono esprimere, non solo fatti ma emozioni. E tutti quanti siamo, di fronte alle emozioni, analfabeti affettivi. Ci eravamo illusi che, mettendo maschi e femmine negli stessi banchi, avremmo risolto il problema del rapporto tra i sessi, ma non è così. Non basta cambiare la realtà esterna se non muta contemporaneamente il mondo interno. Riprendiamo quindi a riutilizzare le favole per proporre ai bambini situazioni problematiche, ad alto indice di emotività, storie da raccontare, commentare e discutere insieme. E di seguito i romanzi, le poesie, i drammi che costituiscono la nostra cultura. Più dei corsi di educazione affettiva, servono insegnanti sensibili che, oltre a valutare le prestazioni, comprendano le diverse personalità degli alunni, i loro stati d’animo, le relazioni che intercorrono nella classe. Lo stesso vale per i genitori, spesso troppo mirati al successo scolastico o sportivo dei figli e delle figlie, piuttosto che alla loro realizzazione complessiva.

Per concludere, caro lettore, la ringrazio per le sue congratulazioni. Considero l’Ambrogino d’oro, che ricevo con gratitudine, un beneficio secondario della tarda età, quando il premio più importante è costituito dalla salute e dalla serenità.