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L’affresco absidale di Severini a Losanna
Oliver Scharpf
Sullo sfondo luccicante d’oro, nell’abside di Notre-Dame de l’Assomption meglio nota come Notre-Dame du Valentin per via del nome della strada che sale e non per il santo degli innamorati come alcuni credono, in un vestito verde smeraldo, si erge come un faro la Madonna Assunta. Per terra poso clémentine de Corse , vischio, e ramolacci appena presi al mercato qui vicino in place de la Riponne. E mi siedo quasi in asse all’affresco absidale bizantinizzante-postfuturista dipinto nel 1934 da Gino Severini (1883-1966).
Strabiliante in alcuni quadri – come La danza del pan-pan al Monico (1909), La danseuse obsedante (1911) o Geroglifico dinamico del Bal Tabarin (1912) – per il quale Theo van Doesburg conia il termine di cubismo psichico, il pittore nato a Cortona e morto a Parigi, futurista della prima ora colpito poi da crisi religiosa, lo ritroviamo qui più mogio nell’abside di questa chiesa risalente al 1832. Opera di Henri Perregaux rinnovata un secolo dopo da Fernand Dumas, architetto del Groupe de Saint-Luc che chiama Severini alla riscossa dell’arte sacra.
Questa fase di affreschi nelle chiese della Svizzera romanda, iniziata a Semsales nel 1925, nasce però in realtà dalla grande amicizia con il filosofo francese neotomista Jacques Maritain. Immortalato seduto sull’impalcatura assieme al suo aiuto affreschista Antonio Luigi Gajoni, Severini, con il cappello di giornale come uno dei tanti muratori italiani emigrati, nell’unica foto di questo periodo, dipingendo l’Assunzione, di sicuro ha negli occhi la Madonna mozzafiato di Torcello. Del dodicesimo secolo, dentro la basilica di Santa Maria Assunta sull’isola lagunare di Torcello, a mosaico, blu, fluttua ancora più in alto contro il catino absidale tutto d’oro come qui. Dove a intermittenza entrano diversi credenti a pregare. Alcuni dopo se ne vanno, altri restano. Perciò, piano piano, mi alzo da questa sedia contro il muro di legno da cantiere: il resto di questa prima chiesa cattolica dopo la Riforma protestante in città, elevata a rango di basilica nel 1992, è ancora in restauro. E a passi silenziosi da gatto, mi muovo, per conoscere come meglio posso, un pomeriggio di dicembre, l’affresco absidale (509 m) di Severini a Losanna.
Il verde smeraldo inusuale del vestito colpisce a prima vista e caraibizza un po’ lo sguardo. Analizzato nell’estate del 2020 da un gruppo di ricerca capitanato da Francesca Piqué – professoressa alla SUPSI in Scienza della conservazione dei beni culturali – il verde risulta contenere dei pigmenti di ossido idrato di cromo noto anche come verde di Guignet. Degni di nota sono gli angeli oranti postfuturisti, sei in tutto, tre per parte. Da lontano, d’istinto, mi fanno venire in mente i giocatori di football americano visti secoli fa di notte alla tele. Oltre a una piega robotica, hanno qualcosa di marionettistico. Avvicinandomi, viene a galla, riguardo la linea di demarcazione tra spalle e braccia, l’analogia con l’Uomo di Latta del film Il Mago di Oz (1939). O forse i sei angeli hanno semplicemente delle fattezze tubiste, alla Léger (tubismo viene coniato per lui da Louis Vauxcelles, inventore anche di cubismo e fauvismo). Ma è nelle ali il colpo di scena: multicolori come nell’iconografia islamica degli angeli.
Inutile passare in rassegna tutto il paesaggio dei santi presenti, più interessante, magari, notare su una collina a sinistra di Maria assunta in cielo, piazza San Pietro a Roma con la sua basilica, più in là un edificio moderno non identificato. Dall’altro fianco, unita così spiritualmente con Roma, c’è Losanna, rappresentata dalla cattedrale e dalla Tour Bel-Air (1931), primo grattacielo svizzero, opera di Alphonse Laverrière, architetto incontrato in occasione della ricerca della tomba di Coco Chanel.
Una colomba accanto in picchiata ricorda un aereo. Voci e grida da ricreazione scolastica, in un cortile vicino, ravvivano la mia visita. Il volto di Gesù Bambino in braccio, alcuni dissero, è quello di uno dei bambini morti di Severini. Balzano agli occhi dall’inizio ma ho voluto tenerle per la fine, le losanghe a scacchiera come nel vestito degli arlecchini nei suoi quadri futuri. Tornato nelle retrovie, ora l’aureola color lavanda dell’Assunta, mi sembra accordarsi alla perfezione con il basco di lana, fatto a mano, di una vecchiettina in quart’ultima fila.