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Flexare

/ 11/12/2023
Simona Ravizza

«Non vedo l’ora di flexare la mutanda Supreme che ho appena comprato!», è una frase intercettata di recente in uno scambio di messaggi vocali su WhatsApp tra la mia 15enne Clotilde e una sua amica. Nelle Parole dei figli il verbo flexare è d’uso quotidiano. Il termine deriva come sempre dall’inglese: to flex letteralmente vuol dire flettere. Viene utilizzato nel suo significato di flex one’s muscles, ossia mostrare i muscoli. Gli viene poi aggiunto il prefisso – are, che è il solito modo per italianizzare parole straniere.

Flexare indica così nel gergo degli Gen Z il vantarsi, l’ostentare, l’esibire, il fare sfoggio, il mostrare. Viene fatto per i cellulari, i capi di abbigliamento di moda, gli orologi, le auto di lusso, lo stile di vita, persino il/la proprio/a partner; e in generale per tutto ciò che, per chi ce l’ha, rappresenta il raggiungimento di uno status sociale elevato: l’ultimo modello di iPhone, la T-shirt di Palm Angels da 250 euro, il Rolex, le sneakers Nike Jordan 4 Retro Kaws Black! Altro che low profile: non conta solo possedere, l’importante è poi sbattere in faccia agli altri la propria ricchezza alla ricerca di riconoscimento sociale.

La soddisfazione personale è condizionata dallo sguardo degli altri. Su TikTok i video con l’hashtag flex hanno 12,5 miliardi di visualizzazioni e non è mancato il trend in cui eserciti di Gen Z postavano video al motto di «Il mio più grande flex è…». Chi flexa su tutti sono i trapper, gli artisti più amati dai nostri figli che cantano di riscatto sociale, lusso, spesso droga e violenza. Tra i primi a utilizzare il termine ci sono nel giugno 2017 i Dark Polo Gang con un brano che si intitola per l’appunto Flex: «La mia tipa è figa/La tua ragazza porta sfiga/Bevo cristal no crystal/Attiro un sacco di figa/Sui lobi brillocchi/Parli di me ma non mi tocchi/Bollicine Coca-Cola/Lei vuole Pyrex più Tony/Baby guarda cosa ho qui/S-O-L-D-I». William Miller Hickman III, trapper italo-americano, nato nel 1991 a Vicenza da mamma italiana e papà americano, in arte MamboLosco, canta nel brano Costa tanto: «Fare il figo e flexare è il mio hobby». Elio Biffi, tastierista della band metal-demenziale I Pinguini Tattici Nucleari, riassume: «L’estetica trap è un po’ l’estetica del flexing, del mostrare le cose. È un’estetica che non ci appartiene». Così una delle canzoni del loro ultimo album s’intitola Non sono cool: «Dentro la testa ho una drum machine (strumento elettronico per imitare le percussioni, ndr)/Che non ha più tempo per flex o diss/Non sono cool/Non sono cool/Non sono cool».

Per Clotilde e le sue amiche, in realtà, anche I Pinguini Tattici Nucleari nel dire che non flexano stanno flexando: volersi mostrare diversi dagli altri, e magari migliori, nasconde comunque il desiderio di mostrarsi. In sintesi: anche chi sostiene che non gli interessa essere cool, in realtà vuole esserlo, semplicemente in un altro modo.

La morale della storia per i Gen Z è che tutti flexano, i più onesti lo ammettono anche contro l’ipocrisia di chi si crede superiore! In un Caffè delle mamme del febbraio 2019 sulla musica che ascoltano i nostri figli lo psicoterapeuta Matteo Lancini rifletteva: «Agli adolescenti piacciono i trapper perché cantano il modello al quale oggi la società, e a volte gli stessi genitori, li hanno abituati: la generazione Like cresce nell’inseguimento della popolarità e del riconoscimento sociale». La borsa è la Chanel, ai piedi Dior, la barca a Saint-Tropez.

Un dato mi ha colpito in un’inchiesta che ho condotto di recente per Dataroom del «Corriere della Sera»: lo scorso settembre il sito cinese Pandabuy che vende marchi di moda fake ha avuto 17,6 milioni di visite in tutto il mondo, di cui quasi un milione in Italia, il doppio rispetto al mese precedente.

E chi compra su Pandabuy? Il 43% dei visitatori ha tra i 18 e i 24 anni, il 32% tra i 25 e i 34 anni. Vuol dire, a mio avviso, che la generazione per la quale il numero di cuori su un post e di follower su TikTok può fare la differenza tra chi si sente importante e chi si sente uno «sfigato», tra chi conta e chi no, pur di flexare compra capi d’abbigliamento e scarpe contraffatte all’interno di un fenomeno ormai virale. «Io ho, quindi sono».