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L’isolamento spontaneo è nemico dell’arte
Benedicta Froelich
Uno degli elementi che più fanno effetto quando si discorre di cultura popolare con i cosiddetti «millennials», ovvero tutti coloro nati all’inizio del ventunesimo secolo, ha a che fare con un particolare spesso ignorato, eppure cruciale, quale la fruizione del prodotto artistico. Infatti, indipendentemente dall’ambito di appartenenza – cinema, musica, fumetto o qualsiasi altro mezzo d’espressione – oggi il mondo giovanile vede tale esperienza come implicitamente ammantata da un’evidente solitudine, il che ne fa un evento quasi privato e personale, in forte contrasto con le abitudini del passato.
Certo, in molti potranno ravvisare le prime avvisaglie di questa tendenza già nei lontani anni ’80, quando l’avvento delle ormai obsolete videocassette (VHS) diede vita al mercato dell’home video, destinato, nel corso degli anni, a svuotare progressivamente i cinema grazie a innovazioni tecniche sempre più raffinate – dagli impianti dolby surround fino alla qualità video perfetta e quasi artificiale dei DVD. E se, di conseguenza, Netflix e YouTube rappresentano solo l’ultima tappa di un’evoluzione che ha via via portato all’annullamento di svariate forme di aggregazione, è tuttavia innegabile come, negli ultimi anni, il fenomeno abbia assunto connotazioni sempre più estreme – di fatto collegate alla presenza costante di una rete web ormai capillare, in cui, paradossalmente, lo strapotere dei social network ha ulteriormente favorito la decadenza delle interazioni sociali. Perché se è vero che, da parte sua, la recente esperienza pandemica ha senz’altro acuito il fenomeno dell’isolamento individuale, quella della solitudine più o meno autoimposta è una tendenza fattasi pervasiva già prima dei lockdown, come esemplificato da fenomeni quali la diffusione degli hikikomori, gli «eremiti digitali» dei Paesi orientali; la progressiva sparizione di videoteche, librerie e negozi di dischi, già sostituiti dall’e-commerce e dal download online, ha ulteriormente estremizzato la situazione.
Così, per fare un esempio, appaiono ormai lontani i tempi in cui, per vedere un film, era necessario uscire di casa e visitare una sala cinematografica; oggi, grazie ai servizi di streaming digitale per l’acquisto e noleggio online, è il prodotto mediatico a «venire al consumatore», anziché viceversa – il che conduce a una totale assenza di socialità. Ciò che i consumatori meno giovani rimpiangono è, infatti, la condivisione dell’opera con altri: proprio quel fattore che per molto tempo ha permesso, ai fruitori causali come agli appassionati, di sentirsi parte di una comunità animata da continue occasioni d’incontro – le quali, nel caso del cinema, andavano dalle matinée ai pomeriggi a prezzo speciale, fino alla nascita dei cineforum e dei dibattiti post-film.
Ma è davvero possibile, in un’epoca governata da smartphone tuttofare e onnipresenti wireless, ritrovare la stessa idea di condivisione di un tempo? Abitudini come quelle tipiche delle case di produzione cinematografica del secolo scorso – per le quali, negli anni 20 e 30, era usanza comune organizzare proiezioni alla presenza delle star in cartellone, così da permettere loro di firmare autografi per gli spettatori – appaiono oggi impensabili: in una società in cui tutti coloro godano di una certa fama vengono considerati alla stregua di esseri soprannaturali, non può che esserci una netta, rigorosa separazione tra codesti dèi e i comuni mortali.
Ed è in questa tragica dicotomia che si cela forse il vero dramma dell’epoca che viviamo: la netta separazione tra pubblico e artisti tradisce il divario sempre più ampio esistente tra l’arte e chi ne fa uso, e non solo; poiché il godimento di un prodotto artistico non è comparabile al semplice consumo, così come l’acquisto di una canzone o un film non equivale a quello di un pacchetto di biscotti, il senso critico, e la forma di sorpresa e spontanea gioia che inevitabilmente dovrebbero accompagnare la fruizione dell’opera – e che spesso nascono proprio dalla sua simbolica condivisione – sono inevitabilmente destinati a farne le spese.
Rendendoci tutti un po’ più poveri e cinicamente smaliziati, oltreché, naturalmente, soli.