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«Il Signor Lei» e la volontà di Mussolini
Bruno Gambarotta
Torino, 15 novembre 1939. Dal primo settembre è iniziata la Seconda guerra mondiale. L’Italia entrerà nel conflitto il 10 giugno dell’anno seguente. Urge preparare i ragazzi alle difficili prove che li attendono. Il Partito Nazionale Fascista, che inquadra gli Italiani dalla culla alla tomba, è in azione. A Torino, il Federale del PNF Piero Gazzotti ha l’idea vincente: organizzare nella sede della Gioventù Italiana del Littorio la mostra ANTI – LEI visitata dalle scolaresche della città. È allestita tappezzando le pareti delle tante sale di manifesti e di vignette satiriche.
Ne troviamo ampi resoconti su diversi quotidiani. «La Stampa» del 16 novembre ospita il servizio su tre colonne a pagina 3. Una fotografia e poche righe redazionali: «I Romani non conoscevano il “lei”. Dante usava solo il voi e il tu. Gli Italiani di Mussolini devono ignorare il “lei”, infelice prodotto di importazione di uno dei periodi più oscuri del nostro Paese, stortura logica e linguistica. La mostra Anti-lei che si è aperta a Torino dimostra con mille argomenti che questo malnato ermafroditismo grammaticale – del quale i giovani si sono ribellati senza rimpianto – sia ormai condannato a morire tutto». Morire: ennesima spia della fascinazione mortuaria che accompagna tutto l’arco del Regime, con il nero delle divise e i continui omaggi ai sacrari.
Ecco l’incipit dell’ampio servizio sulla «Gazzetta del Popolo della Sera» del 15-16 novembre: «Poveretto, l’hanno ammazzato. Sembrava dovesse durare eterno, anche così vecchio e frusto, col suo “virginia” spento a un angolo della bocca, le ghette bianche (….). Ed ecco che degli scanzonatissimi ragazzi gli hanno fatto la festa, dopo averlo condannato a morire di mille morti. Chi lo ha preso per la collottola, precipitandolo da una rupe, chi gli ha squarciato i fianchi imbottiti con una scure, chi lo ha dilaniato con un siluro, chi lo ha messo fra le mandibole incandescenti di un forno». Anche il titolo è in linea con il tono splatter del testo: «Alla mostra Anti-Lei. Dove è sepolta con l’epitaffio che si merita una ridicola usanza». E attacca: «Con lui, il signor Lei, è tutta una generazione che fa fagotto. Una generazione di borghesi, amanti, signorini, zitelli, scapolacci, insomma, inclini alla società anonima dell’amore e della figliolanza; delle matrone che coltivavano in un vaso, innaffiandolo sera e mattina perché non patisse, l’alberello dell’adulterio, dai fiori vizzi e dai frutti stenti; delle donnine di lusso che sognavano il vezzo di perle, il conto in banca, il cagnetto pelosissimo e l’alloggio al piano nobile. Bei tempi delle garçonniere, scannatoio privato, macello fra quattro mura: macello di cuori, di reputazioni, di tranquillità coniugali.» E tutto a causa di un pronome personale! Dura e piena di trappole la vita di un giornalista durante il ventennio! L’ampio servizio è firmato da Clara Grifoni, che si riscatterà finendo in carcere alle Nuove di Torino a causa del suo impegno nella lotta partigiana. Nel dopoguerra lavorerà per il settimanale «Epoca» diretto da Enzo Biagi.
Da una parte il Regime decreta che «il signor Lei» è morto e sepolto, dall’altra mette in campo i suoi pezzi da novanta. Mario Appelius è l’inviato speciale de «Il Popolo d’Italia», il quotidiano fondato da Benito Mussolini. Quattro lunghe colonne il 21 novembre. Il grande giornalista subito mette le mani avanti: «Non è certo per capriccio che il Fascismo ha impegnato questa battaglia! Il Fascismo ha già abbastanza nemici (molti nemici, molto onore) ed abbastanza gatti da pelare (nostrani e foresti) per andarsi a cercare a cuor leggero nuovi bersagli e nuove fatiche se non ce ne fosse bisogno! Grandi ragioni d’ordine razziale, sociale e politico hanno indotto il Fascismo a partire a fondo sul fronte interno contro l’uso tradizionale di questo “lei” nel quale si era abbosciato il più pretensioso “Ella” introdotto in Italia all’epoca delle invasioni spagnole». Anche qui è tutta una reiterata dichiarazione di morte.
Alla fine però Appelius taglia corto: «Sapete perché muore il “Lei”? Perché così vuole Mussolini nella sua alta saggezza di educatore nazionale e di costruttore imperiale. E ciò che Mussolini vuole, gli italiani lo fanno». Nato ad Arezzo nel 1892 e morto a Roma nel 1946, Mario Appelius, aiutato da una vita avventurosa iniziata all’età di 15 anni, si dimostrò un formidabile corrispondente di guerra in Etiopia, Spagna e altri fronti europei.