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Le nuove povertà
Puntata conclusiva del romanzo di Lidia Ravera per «Azione». Sul nostro sito sono disponibili quelle precedenti
Lidia Ravera
«L’hai rivisto?»
«No, non l’ho rivisto. È sparito anche lui. Ma non me ne frega niente. Abbiamo l’invito».
«Ci sarà una lista», disse Tom.
«Se c’è una lista io sarò su quella lista…il vecchio non è il tipo che ti cancella».
Tom accese la luce e si puntellò su un gomito per guardare in faccia sua moglie.
«Perché ci vuoi andare?»
«Perché non posso lasciare niente di intentato. Non so tu, ma io vorrei uscire da questa situazione».
«Anche io», disse Tom.
Spense la luce e al buio confessò: «Ho guardato gli annunci di lavoro. Job in tourism».
Era la prima volta, in tutta la sua vita.
Aveva 42 anni. E la mattina dopo si sarebbe presentato all’Hotel Colosseo, dove aveva trovato un posto da portiere di notte.
Betta strinse forte la mano di Sara, erano schiacciate, tutte e due, nell’angolo sinistro di un vecchio montacarichi che immetteva direttamente nel salone. C’erano almeno venti persone e sembravano conoscersi tutte fra loro. Alcune commentavano quell’esemplare di archeologia industriale che funzionava da ascensore lento.
Ne parlavano come di un vecchio rituale.
Il palazzo era occupato per due piani da certi laboratori dove sofisticati artigiani realizzavano i costumi per il Teatro dell’Opera.
L’ultimo piano era come una grande piazza sospesa sul monumentale Circo Massimo. Era un luogo fastoso e sobrio, freddo per le grandi vetrate, immerso in una penombra illuminata da centinaia di candele, poggiate nel centro di decine di tavole rotonde.
Sara guardò sua madre, che perlustrava con gli occhi la sala. La teneva per mano come se fosse piccola, come dovesse farle attraversare una strada pericolosa.
«Che posto pazzesco», disse, tanto per rompere quell’incantesimo.
Era un po’ pentita di aver detto di sì quando suo padre l’aveva invitata a sostituirlo:
«Vai tu con la mamma. Io prendo servizio alle cinque del mattino, devo andare a letto presto».
Aveva sempre un aria grave, quando parlava della sua nuova vita.
«Andate a spassarvela» aveva detto, poche ore prima, guardandole mentre si preparavano. «Magari incontrate due principi azzurri, uno piccolo e uno grande, e diventate principessa e regina. In fondo, nel mondo come è diventato, tutto si decide alle feste.»
Non era affatto certa, Sara, che si sarebbero divertite. Infatti aveva chiesto il permesso di portarsi l’iPad.
Sua madre tremava in un vestito di raso rosso, scollato e attillato che le lasciava nuda la schiena e le sottolineava il sedere.
«Me l’ha regalato il tizio che ci ha invitate al party», aveva detto con una smorfia, siccome sarà lì, sarà contento di vedermelo addosso».
«E perché te l’ha regalato? Sa che siamo poveri?»
Betta non aveva risposto e le aveva allungato una giacchetta bianca che non metteva più.
Avevano riso.
Non era difficile ridere, da quando Tom si era esibito in quella accorata esposizione dei loro guai economici.
Era come se lei, la figlia, fosse diventata improvvisamente adulta.
Betta si era sintonizzata su un’allegria artificiosa.
I momenti di disperazione erano più autentici ma più difficili da gestire.
Perciò, per un segreto accordo, erano stati eliminati.
Nella nuova distribuzione delle parti, Betta era coraggiosamente positiva come certi malati terminali che si ostinano a scherzare, per non pesare sui parenti in visita.
A Sara piaceva che, di nuovo, sua madre passasse ore davanti allo specchio del bagno provando espressioni diverse, come per scegliere la maschera più adatta alla giornata. Che uscisse spesso. Che nessuno sapesse dove andava.
Le piaceva che suo padre avesse trovato un lavoro e ne parlasse come di un’onorificenza.
Lavorava presso l’hotel Colosseo.
Quattro stelle.
Turismo di classe.
«Dì alla tua amica che tuo padre fa il portiere di notte per poter scrivere».
O studiare.
O lavorare al suo film.
Sara pensò che era una buona idea.
Si sarebbero accomodati nella povertà e l’avrebbero fatta diventare elegante, alla moda, invidiabile.
Quando tornarono a casa dalla festa baciarono tutte e due Tom che dormiva.
Lui fece finta di non svegliarsi.
(44 – Fine)