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Lo schiavo venuto dal mare

/ 13/11/2023
Melania Mazzucco

Alla Biblioteca Marciana di Venezia, mentre lavoravo ai miei libri su Tintoretto, mi capitò fra le mani un volume stampato nel maggio del 1550. Delle navigazioni e viaggi… recitava il titolo. G.B. Ramusio aveva raccolto gli scritti dei viaggiatori che, dal Trecento in poi, si erano spinti in terre lontane. Conosceva Tintoretto, e nella sua curiosità intellettuale ritrovavo quella del pittore. Ma ciò che catturò la mia attenzione fu il libro-nel-libro dentro il primo volume: Della descrittione dell’Africa e delle cose notabili che ivi sono di «Giovanni Lioni africano». 

Il misterioso Lioni mi incuriosì (allora ignoravo che lo scrittore franco-libanese Amin Maalouf gli avesse dedicato nel 1986 un poderoso romanzo storico, Leone l’Africano). Fra i tanti stranieri approdati in Italia, è quello che più le ha dato. 

Arrivò in catene, schiavo, nel 1518. Il corsaro Pietro Bovadiglia (o Pedro Bobadilla), che lo aveva catturato a D’jerba, lo donò al papa, a Roma. Benché Al-Hasan ibn Muhammad al-Wazzān fosse un letterato e un diplomatico, di ritorno da Costantinopoli dove era stato per conto del sultano del Marocco, dalla stiva della nave passò nelle carceri del papa. Tuttavia il rango e l’eccezionale cultura del prigioniero incuriosirono il colto Leone X (Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, mecenate di Raffaello): per più di un anno mandò tre vescovi a discorrere col maomettano. 

Benché avesse poco più di trent’anni, aveva vissuto più di loro. Nato a Granada in una famiglia berbera intorno al 1485, nel 1492 dopo la Reconquista, si trasferì a Fez. Studiò diritto ed entrò nella corte marocchina. Raccontò di aver viaggiato, per commerci o incarichi diplomatici, in Africa del Nord, ma anche nell’Africa nera, dal Sudan a Timbuctù, e in Medio Oriente: oltre i deserti dell’Arabia, fino alla Mecca, al Mar Rosso, e ancora più lontano, in Armenia, Persia, Tartaria. Flora, fauna, popoli, costumi, fatti storici: il prigioniero era un’enciclopedia vivente del mondo non europeo. Ignoto, altrimenti. Era utile – al papa, a Roma, all’umanità. Doveva avere la possibilità di fissare i suoi ricordi, riavere i suoi appunti: scrivere. Il papa fissò il prezzo della sua libertà. Al-Hasan accettò. Il 6 gennaio 1620 uscì dal carcere per essere condotto a san Pietro: convertito al cristianesimo, fu battezzato da Leone X, che gli diede il suo proprio nome: Johannes Leo de’ Medici. Fu in quell’occasione che Sebastiano del Piombo gli fece il ritratto: se è lui l’uomo con la barba nera che posa accanto a una carta geografica in una tela oggi a Washington. 

Ormai libero, per quattro anni Leone l’Africano viaggiò per l’Italia – fermandosi a insegnare all’università nella dotta Bologna. Scrisse un’infinità di opere, di cui restano solo i titoli: Della legge e fede maomettana; Istorie moderne d’Africa, Abbreviazione della cronaca dei maomettani; Retorica araba, Grammatica araba; una raccolta di epitaffi della Barberia, e un vocabolario, di cui sopravvivono 117 fogli, con termini arabi da lui tradotti in ebraico. Ma il libro che gli avrebbe dato la fama – di cui aveva approntato una prima versione già nel 1523, prima di lasciare Roma – non lo pubblicò. La Descrittione (in ben 9 libri) circolava manoscritta tra i geografi e gli eruditi: che se ne appropriarono con disinvoltura. Leone l’aveva scritta in italiano, per noi. Mescolando, come già Erodoto, i ricordi dei suoi viaggi e il frutto dei suoi studi. 

L’Africano rientrò a Roma nel 1526, protetto dal nuovo papa, Clemente VII, pure lui de’ Medici. Se era a Roma durante il Sacco del 1527, si salvò con la corte, rifugiandosi nella sua antica prigione di Castelsantangelo. Non sappiamo se fu il Sacco a indurlo a partire, o il desiderio di riappropriarsi della sua identità. Certo poco dopo tornò nel Maghreb, si riconvertì all’Islam, ed era ancora vivo nel 1554. 

Forse seppe della pubblicazione della Descrittione dell’Africa che aveva lasciato in Italia. Ebbe un successo travolgente. Fu ristampata nel 1554, e poi ancora nel 1563, 1580, 1606, 1603. Nel 1556 fu tradotta in francese e latino; quindi in inglese e in olandese. Insomma: per secoli, le conoscenze e le fantasie degli Europei sull’Africa derivavano dallo schiavo venuto dal mare.