azione.ch
 



L’ IA e le ancestrali leggi della creazione artistica

/ 13/11/2023
Benedicta Froelich

Negli ultimi anni, lo spesso abusato termine «intelligenza artificiale» (ormai abitualmente abbreviato come IA) è divenuto sempre più d’uso comune e perfino inflazionato, al punto da fare capolino all’interno di qualsiasi discussione di ambito sociologico-culturale – il che ne ha reso il significato a tratti equivoco. Parallelamente a quest’eccesso di enfasi, si è così sviluppata una certa diffidenza nei confronti delle tanto esaltate capacità di quelli che un tempo si chiamavano «cervelli elettronici» – oggi divenuti semplici programmi informatici, talmente avanzati e comuni da poter essere installati su un qualsiasi smartphone. Certo, il timore nei riguardi di questa tendenza potrebbe considerarsi per molti versi giustificato, soprattutto a causa della concreta possibilità che, in un ben poco lontano futuro, l’intelligenza artificiale sostituisca quasi completamente l’apporto umano; e se ciò può apparire logico e quasi auspicabile nel caso di mansioni di tipo ripetitivo e meccanico, risulta tuttavia sorprendente il fatto che anche l’ambito culturale e artistico possano essere toccati da tale tendenza. 

Eppure, ciò si è già ampiamente verificato: non soltanto in circostanze in un certo senso inevitabili (si veda, ad esempio, la diffusione delle traduzioni automatiche, le quali, sebbene assai migliorate rispetto a qualche anno fa, restano quantomeno rudimentali agli occhi di un professionista), ma anche in contesti smaccatamente creativi. Un esempio calzante sono le immagini e video generati dai software IA, che permettono, in base alle indicazioni fornite dall’utente, di ottenere in pochi secondi la perfetta simulazione di una foto, un’opera pittorica o un filmato; il che presenta non poche problematiche, legate al rischio di scambiare simili simulazioni per reali e all’impossibilità di verificarne l’effettiva veridicità.

Eppure, a volte capita che, anche in campo più prettamente artistico, l’intelligenza artificiale possa essere impiegata in modo meno pervasivo e totalizzante: a dimostrarcelo sono stati, pochi giorni fa, due ottantenni di tutto rispetto quali Paul McCartney e Ringo Starr, unici superstiti del leggendario quartetto dei Beatles. Sì, perché il 3 novembre scorso è finalmente stata diffusa quella che è già universalmente definita come l’ultima canzone in assoluto della band, realizzata partendo da un vecchio demo pressoché inutilizzabile inciso da John Lennon a fine anni ’70 – e oggi reso pubblicabile proprio grazie al contributo dell’algoritmo di un software IA di ultima generazione.

In effetti, le dichiarazioni di McCartney al riguardo avevano scatenato un vero vespaio, portando molti a credere che l’apporto del computer fosse arrivato al punto di generare artificialmente la voce del defunto John Lennon; e ci sono volute diverse smentite per convincere i beatlesiani che in realtà il software in questione si è limitato a «estrapolarla» dalla vecchia registrazione, rendendola finalmente nitida e godibile – diversamente da come era stato nel 1995, quando Now and Then era stata scartata dal progetto Anthology, nell’ambito del quale le uniche demo di Lennon rimaneggiate dagli allora tre Beatles superstiti erano state Free As a Bird e Real Love; e se, all’epoca, la qualità della registrazione originale era troppo scadente per essere ottimizzata digitalmente, la tecnologia odierna ha infine permesso di separare la traccia vocale originale dalla restante strumentazione, su cui McCartney e Starr hanno poi sovrapposto un nuovo accompagnamento in studio.

Questa sorta di «parabola tecnologica» sembra celare un doppio insegnamento: da un lato, la parziale nobilitazione dell’intelligenza artificiale, la quale, anziché ambire a sostituire l’uomo nella realizzazione dell’opera artistica, ne ha, in questo caso, permesso il recupero e la fruizione; dall’altro, l’importanza di mantenere una linea di demarcazione netta tra le due cose – in modo che, per quanto possibile, sia la tecnologia a mettersi al nostro servizio, e non viceversa. Così da mantenere vivi l’ancestrale rispetto e fascinazione dovuti a quella che, in tutta la sua intrinseca e sfuggente magia, è da sempre prerogativa esclusivamente umana – ovvero, la creazione.