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Le ombre lunghe sugli YouTuber e i loro canali
Benedicta Froelich
Nelle ultime settimane un nuovo, ennesimo scandalo ha scosso alle fondamenta il mondo dei cosiddetti YouTuber (creatori di contenuti sulla celebre piattaforma online), stavolta sotto forma del chiacchieratissimo arresto di una figura controversa quale Ruby Franke — mamma di sei pargoli originaria dello Utah e, fino all’anno scorso, orgogliosa responsabile del seguitissimo canale Eight Passengers, poi da lei stessa eliminato in seguito all’insorgere di svariate polemiche relative a possibili abusi nei confronti dei figli.
Purtroppo, il dubbio si è tramutato in certezza quando due dei bambini della Franke sono stati scoperti in evidente stato di malnutrizione, con profondi segni di legacci intorno ai polsi; sevizie in cui avrebbe giocato un ruolo chiave la psicologa Jodi Hildebrandt, con la quale la Franke gestiva un nuovo canale YouTube, stavolta incentrato sulla terapia personalizzata. E poiché si sa che, quando si tratta di condanne, la giustizia americana non fa certo sconti, al momento la Franke rischia almeno trent’anni di prigione per maltrattamenti su minori.
In realtà, quanto accaduto a Ruby Franke è solo l’ultimo di una lunga serie di scandali che ha colpito i famigerati family vlogs, ovvero quella branca di canali tematici (ospitati sui principali social network internazionali) dedicati alla vita quotidiana all’interno di famiglie, perlopiù americane, le cui dinamiche, emozioni e fatti personali vengono ossessivamente analizzati e raccontati dai genitori stessi, attratti — al pari di migliaia di colleghi trasformatisi dall’oggi al domani in YouTuber professionisti — dalla prospettiva di guadagni stellari, da ottenersi tramite le visualizzazioni degli utenti e le sponsorizzazioni pubblicitarie.
In realtà, già da diversi anni, i rari commentatori provvisti di maggiore lucidità (o, semplicemente, meno obnubilati dall’avidità) hanno fatto notare come, dal punto di vista etico, quest’attività ponga alcuni gravi quesiti — uno su tutti, la lesione della privacy derivante dalla mancanza – per i minori coinvolti, dell’esplicito consenso a essere continuamente filmati e «documentati» alla stregua di fenomeni da baraccone; e, come il caso della Franke (e molti altri) hanno dimostrato, dietro le allegre ed enfatiche scenette di affiatamento famigliare si cela spesso l’ombra del sopruso o, nel migliore dei casi, del bieco sfruttamento degli ignari e giovani virgulti. Del resto, in un mondo in cui i cosiddetti influencer guadagnano qualche milione di franchi l’anno semplicemente mostrando la loro bella faccia dallo schermo di un computer, la tentazione di approfittare di qualsiasi cosa si abbia sottomano per convertirlo in un facile e lucroso successo mediatico è tale da far sì che in pochi vi sfuggano.
Forse, però, il vero dilemma risiede altrove, e affonda le radici nell’antropologia moderna, assillando i sociologi fin dalla nascita degli stessi social network: al di là del fattore economico, qual è la molla che spinge l’uomo comune ad avvertire la necessità prevaricante di sbandierare pubblicamente ogni aspetto della propria vita privata, anche il meno lusinghiero? In un’epoca in cui tanto parlare si fa di privacy e dati sensibili, cosa ci spinge a convertirci volontariamente al genere di scellerato esibizionismo che, a sua volta, scatena il voyeurismo altrui? Soprattutto, a che pro osservare i protagonisti di turno mentre, intenti a osannare o maledire in modo artificioso ogni minimo accadimento delle loro movimentatissime vite, mostrano con orgoglio agli spettatori esistenze perfette quanto artefatte, traboccanti di coniugi adoranti, case magnifiche, macchine di lusso e viaggi costosi?
Eppure, c’e stato un tempo in cui l’opinione pubblica pareva scandalizzarsi davanti al morboso e gratutito sfoggio di sentimenti privati che caratterizzava la cosiddetta «TV spazzatura»; oggi, invece, questo ridicolo teatrino sembra non suscitare in noi alcuna reazione, essendo divenuto, di fatto, la norma. Un’ulteriore dimostrazione di come la bussola morale dell’essere umano possa essere ormai alterata, o addirittura annullata, a seconda delle mode e necessità del momento. E forse è questo che, più di ogni altra cosa, dovrebbe davvero farci paura.