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La crisi dello streaming

/ 02/10/2023
Aldo Grasso

«L’età dell’oro dell’intrattenimento in streaming potrebbe essere finita. Probabilmente non ci piacerà quello che succederà dopo. Presto potremmo pagare di più per scelte meno buone e rimpiangere l’era delle abbuffate gratis su internet», ha scritto il «New York Times». Un’industria che aveva creato posti di lavoro a più non posso, ora li sta distruggendo. E non si tratta di difficoltà passeggere.

L’ultima ricerca della Nielsen mostra che negli Stati Uniti il tempo trascorso nell’intrattenimento e nell’informazione via computer o telefonino è pari solo al 36%, rispetto al 31 via cavo e al 22,8 via etere. «La spesa totale per i contenuti dei servizi streaming in abbonamento, da Hbo Max, a Disney Plus e Netflix, continuerà ad aumentare, ma a un tasso dell’8% invece della crescita vertiginosa del 25 per cento», scrive una ricerca di Ampere Analysis. I titani di Hollywood piangono calde lacrime. Secondo il «Wall Street Journal», i media tradizionali hanno perduto 20 miliardi di dollari dal 2020 a oggi. I consumatori sono rimasti soddisfatti (almeno finché non hanno dovuto pagare), i lavoratori molto meno, in tanti hanno perso il lavoro. Lo sciopero degli sceneggiatori (ora terminato) ha preso a bersaglio l’intelligenza artificiale ma è in realtà la manifestazione di un disagio più lontano e profondo. Anche i potenti signori degli studi cinematografici e televisivi hanno visto crollare i loro profitti. Parliamo di Paramount, Warner Bros. Discovery, Comcast e persino Disney.

E dire che lo streaming sembrava il futuro inarrestabile. Per anni le nostre abitudini casalinghe sono state regolate dal palinsesto televisivo. Persino la cena veniva a coincidere con il tg, giusto per condividere le notizie della giornata a tavola. Per anni il nostro rapporto con la tv è stato regolato da una specie di orario dei treni: a volte impreciso, a volte ballerino, ma pur sempre orario. Poi le cose sono cambiate in maniera radicale. Con lo streaming, appunto. Streaming significa anche che da un ambiente televisivo organizzato secondo un ordine verticale siamo passati a un ambiente internet di tipo orizzontale. La TV del futuro, si diceva, sarà un grande serbatoio da cui ognuno di noi potrà attingere quello che più desidera. Invece si è registrato un calo fisiologico dovuto anche all’inflazione che ha inciso sui conti familiari e spinto gli utenti a orientarsi su forme di visione come quelle con la pubblicità che ormai tutti gli operatori stanno, gradualmente, attivando.

Il mercato, inoltre, è sempre più condizionato dai contenuti di richiamo, che rendono più volatile il parco abbonati e spingono gli spettatori a spostarsi su una piattaforma, piuttosto che un’altra, a seconda dell’offerta. Disney+, ad esempio, ha continuato a crescere rispetto alla concorrenza, ma con l’esaurirsi delle grandi serie Marvel la tendenza appare destinata a invertirsi. C’è poi l’aspetto delle mode e delle abitudini, in particolare dei giovani, che condizionano in maniera decisiva il mercato. Da questo punto di vista la fruizione sembra premiare sempre più i social media – come testimonia ancora It Media – , da TikTok a Twitch, ma anche YouTube e Facebook.

L’Italia rispecchia la tendenza e gli ultimi dati diffusi da Agcom non fanno che confermarlo. Diminuiscono gli abbonati ma anche le ore passate nella visione di contenuti a pagamento: meno 12,8% in totale. In caduta anche Netflix che perde 9 milioni di ore e il 3,6% degli abbonati.

«Non vuol dire che un giorno non ci saranno più piattaforme – o che a dominare il mercato sarà un unico servizio o al massimo un paio – ha detto Angela Watercutter su «Wired Us» – ma che alla fine di tutte le fusioni, i consolidamenti e gli scorpori, gli spettatori avranno la possibilità di abbonarsi solo alla manciata di opzioni che desiderano davvero. Tutte le reti si contenderanno i contenuti più visti, e non gli show di nicchia. Forse gli scioperi di Hollywood finiranno e gli streamer, che stanno contrattando a fianco degli studios, inizieranno a pagare i diritti residui come le reti televisive. Forse Apple comprerà Disney. Ma di offerte vincenti ce ne saranno davvero poche».

Se proprio vogliamo parlare di crisi, diciamo che è una crisi di crescenza generata dalla novità e da un successo insperato: una buona riuscita raggiunta molto in fretta si consuma ancor più in fretta.