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Trema il Marocco, si salva Marrakech
Claudio Visentin
La valigia sul letto è pronta, attende solo di essere chiusa. Davanti a me l’ultima notte di sonno poi partirò per il Marocco: Marrakech, come ogni anno. I luoghi, al pari delle relazioni, sono messi alla prova dalla ripetizione, dall’abitudine e dal tempo. Ma la città costruita sulla soglia tra il deserto e le terre degli uomini sa proporre sempre nuovi motivi d’interesse. Invece poche ore prima della partenza la terra trema. Trema tanto, settimo grado, e trema a lungo, per trenta secondi; in quei momenti devono sembrare infiniti. Non c’è molto da fare: tutto sospeso, non parto. Resto invece incollato alla televisione cercando di decifrare parole e numeri. Penso. La fortuna, per cominciare. Si progetta, si studia, ci si prepara, ma poi un giorno soltanto sul calendario o anche meno, una manciata di ore, bastano per fare la differenza. Un leggero scarto temporale e la ruota del nostro destino gira in un’altra direzione, evita il pericolo (o meglio lo lascia ad altri).
Gli altri. Domando delle decine di amici expat che hanno messo radici a Marrakech, la città più internazionale del Marocco, ma gli stranieri stanno tutti bene. Chiedo allora notizie dei conoscenti marocchini. Abbiamo condiviso tanti momenti insieme negli anni passati e si è stabilita tra noi una certa vicinanza, che però ora si rivela in larga parte illusoria. Quando soggiorniamo in Paesi stranieri cerchiamo di distinguerci, di sfuggire alle gabbie e ai ruoli del turismo: vogliamo mescolarci ai locali, condividere la loro vita quotidiana, il cibo, i vestiti. Ma è poco più di una finzione, di una buona intenzione. Come ha scritto Claudio Magris «Chi viaggia è spettatore, non è coinvolto a fondo nella realtà che attraversa, non è colpevole delle brutture, delle infamie e delle tragedie del paese in cui s’inoltra. Non ha fatto lui quelle leggi inique e non ha da rimproverarsi di non averle combattute; se il tetto di una notte crolla ed egli non ha proprio la disgrazia di restare sotto le macerie, non ha altro da fare che prendere la sua valigia e spostarsi un po’ più in là» (L’infinito viaggiare, IIIED edizione, 2005).
Non ho avuto la disgrazia di restare sotto le macerie, come scrive Magris quasi profeticamente, e quindi con tutta la buona volontà del mondo resto uno spettatore. Nel frattempo a poco a poco ristabilisco i contatti e capisco meglio la situazione. I danni e le vittime si concentrano quasi per intero nei villaggi di montagna, più vicini all’epicentro del terremoto e costruiti alla buona. I poveri pagano il prezzo più alto. Alla nostra mente di occidentali, ossessionati da multiple e fluide identità, declinate in sottili distinzioni (e rivendicazioni), s’impone la cruda realtà dell’abisso che separa i poveri dai ricchi nella maggior parte del mondo e di quanto conti questa elementare dicotomia. Marx fa lezione tra le macerie.
A Marrakech invece i danni sono stati minori di quanto si era temuto. Certo alcuni edifici abbandonati sono franati e i cumuli di macerie fanno impressione ma hanno superato la prova la maggior parte delle case e dei riad, costruiti o ristrutturati coi nostri criteri (anche perché spesso sono proprietà di stranieri). Questa è probabilmente la miglior approssimazione alla verità, nascosta dal sensazionalismo dei media, e al tempo stesso anche la versione che gli amici marocchini preferiscono sottolineare, credere e raccontare.
Intanto tutti si sono subito rimboccati le maniche per tornare rapidamente alla normalità: si sgombrano i detriti, si riparano le crepe, si riaprono i negozi. Perché la città che dà il nome all’intero Paese vive quasi esclusivamente di turismo e dopo due anni di un severissimo isolamento per contenere l’epidemia, l’idea di trovarsi di nuovo senza lavoro e senza guadagni a causa della fuga dei turisti e del moltiplicarsi delle disdette getta i suoi abitanti nella disperazione. È una preoccupazione fondata.
Dopo una tragedia di queste dimensioni il turismo tende a fermarsi, sia per il timore irrazionale di nuovi episodi, sia per un più delicato senso di rispetto per le vittime. Ma un lutto lungo ed elaborato è un lusso per chi lotta con i bisogni quotidiani. E finché le cose stanno così, tornare presto in Marocco da turisti è il miglior modo di aiutare questa terra. Un’altra lezione di questo viaggio mancato.