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Catfishing

/ 18/09/2023
Simona Ravizza

«È uno/a che fa catfishing!». Nel gergo dei ragazzi della Gen Z il termine è utilizzato per schernire chi dal vivo è diverso da come appare sui social. È l’estensione che le Parole dei figli fanno di un vocabolo che originariamente sta a indicare chi, sempre sui social, si crea una falsa identità fingendosi un’altra persona allo scopo di ingannare, prendere in giro, umiliare. La traduzione letterale dall’inglese è pesce-gatto: l’aneddoto preso dal documentario Catfish dei registi Henry Joost e Ariel Schulman (Usa, 2010) è che i pescatori erano soliti mettere il pesce-gatto con il merluzzo che trasportavano vivo nelle spedizioni a lungo raggio per mantenerlo attivo e vigile fino all’arrivo e, dunque, di qualità migliore (che vuol dire più buono da mangiare). La tesi – distorta – che sostiene uno dei protagonisti del film è che chi fa il pesce-gatto mantiene la vita degli altri più fresca e interessante. La trama ruota intorno a Nev, fotografo 24enne di base a New York, che viene contattato su MySpace da Abby, una bambina di 8 anni delle aree rurali del Michigan, appassionata di pittura, con il desiderio di dipingere una delle sue fotografie. Quando Nev riceve il dipinto inizia un’amicizia e una corrispondenza con la famiglia di Abby che sfocia in una cyber-storia d’amore con l’attraente sorella maggiore di Abby, Megan, musicista e modella. In realtà Megan non esiste e dietro c’è la madre di Abby, Angela, che si prende gioco di Nev. Se non c’è dubbio che gli adolescenti vadano messi in guardia dal rischio di finire vittime di questo tipo di attività ingannevole, la mia preoccupazione è rivolta soprattutto al fenomeno che si nasconde dietro il dire: «È uno/a che fa catfishing!». Sono, infatti, convinta che poche Parole dei figli siano in grado di fotografare l’epoca in cui vivono gli adolescenti come catfishing. Oggi, inutile nascondercelo, il primo contatto tra due adolescenti avviene di frequente su Instagram o su TikTok. Lì dove la vita è in vetrina e la popolarità, come abbiamo più volte raccontato anche a Il Caffè delle mamme, si misura a colpi di follower e like. In questo contesto la FOMO, ossia la paura di essere esclusi (dall’acronimo inglese di Fear Of Missing Out), è una sensazione che penetra nella carne viva portando angoscia e senso di inadeguatezza. Le stories di Instagram o i video su TikTok consentono di avere un report quotidiano delle vite altrui: ciò vuol dire un continuo controllo dei social e dello smartphone dove ognuno vuol giocare la propria parte per non sentirsi escluso. E i social permettono di giocare anche barando: più i nostri figli stanno su Instagram e TikTok, ormai lo sappiamo, più manipolano gli scatti che li ritraggono utilizzando i filtri messi a disposizione per migliorare l’aspetto fisico. Dunque: il timore di essere esclusi porta gli adolescenti a voler essere anche loro sempre in vetrina e per starci modificano la propria immagine per piacersi di più.

Ricordiamo che l’immagine digitale consente con poche mosse un favoloso makeover virtuale. Fino a renderci quasi irriconoscibili. A questo punto l’immagine di sé che può avere suscitato l’interesse di qualcuno non corrisponde a quella in carne e ossa. Disastro per entrambi: all’hype dell’incontro segue la fregatura. Con conseguente messa all’indice: «È uno/a che fa catfishing!». Scherno. Derisione. Pubblica umiliazione. Conoscersi di persona e piacersi diventa un’impresa ancora più ardua, quella di fare nascere un amore fuori da uno schermo del cellulare. Ecco, fermiamoci un attimo a riflettere: il catfishing, che si intreccia con la FOMO e l’uso dei filtri per crush (innamoramenti) sempre più virtuali, è l’emblema di quanto i social stiano complicando le relazioni dei nostri figli. Con ricadute importanti sulla considerazione di sé e l’autostima. Il problema non è tanto, a mio avviso, che non puoi mai sapere chi si nasconde dietro una relazione nata virtualmente. La questione spaventosa è cosa ti porta a fare il desiderio di piacere in quella vetrina, e l’umiliazione che puoi provare poi nell’incontro dal vivo. Con l’autostima già bassa che finisce irrimediabilmente sotto i piedi e tutto quel che ne consegue. Neanche Cyrano dopotutto ha fatto una bella fine.