Lavori in corso

by Claudia
3 Marzo 2025

Esco di casa al volo per fuggire dai rumori assordanti del trapano, da buchi e calcinacci che, per lavori urgenti, si sono impossessati del mio appartamento. Esco al volo per cercare di riprendermi, ma anche il panorama che mi viene incontro è quello di una città-cantiere: un cantiere diffuso e imponente che occupa il mio sguardo in 3D.

Capisco di essere in una condizione diversa dal consueto chiudere la porta di casa alla ricerca di una bellezza che so di incontrare sempre sul mio cammino, nei luoghi a me più cari. Forse per questo mio stato d’animo, non proprio sereno e accogliente, la città mi sta mostrando, in modo inatteso, la bruttezza di interminabili lavori in corso, la bruttezza di tutto il grigiore senza profumo di spazi opachi, capaci solo di frantumare ogni prospettiva, di interrompere ogni scorcio di bellezza.

Quello che mi sta succedendo è ben spiegato dal noto esempio dell’immagine ambivalente di anatra/coniglio (o quella di vecchia/giovane) per cui se tu guardi tante anatre prima di vedere l’immagine, certamente non avrai dubbi a riconoscervi un’anatra e a lasciare sullo sfondo, informe e invisibile, il coniglio che pure vi è raffigurato. Ecco che allora, mentre cammino, queste «anatre» si fanno potenti luoghi della memoria, immagini e visioni altre volte trascurate o prontamente rimosse.

Vedo innanzitutto quella casa sventrata che per settimane ha mostrato senza pudore storie di intimità appese a resti di muri, esibite dentro frammenti di cose, un mestolo forse, o un asciugamano dimenticato tra quello che resta di una cucina. Una casa sventrata senza pudore, nel confondersi di pareti infragilite, ti lascia addosso una percezione straniante e inquietante di dimora, e forse anche di umanità. Mi era proprio rimasta negli occhi questa immagine così vivida anche se oggi, a pochi mesi di distanza, non posso che vedere un altro palazzo, nuovo, imponente e luminoso, ignaro di aver inghiottito il tempo di tante vite vissute.

Penso che in esperienze come questa si mostri il volto più lacerante, più tragico anche, del nostro vivere e convivere nel cosiddetto tempo reale, che è un’opportunità, certo, ma a volte può anche diventare sorgente di dolorose smemoratezze. L’«anatra» mi mostra in seguito anche un lungolago continuamente interrotto da lavori, per me spesso indecifrabili, che sembrano volersi prendere gioco della geometria delle piante (e dei ritmi dei tanti che lo attraversano correndo) tra buchi misteriosi in cui si frantuma e si spegne il riverbero del lago. Poi mi viene alla mente la doccia che un gentile operaio mi ha magicamente risparmiata mentre bagnava con getto impetuoso i calcinacci impazziti di una rapida e grandiosa demolizione, lasciandomi invece assaporare solo l’improvviso, stupefacente, apparire del lago.

Case rialzate, case ristrutturate, case abbattute, come l’ultima chicca di un palazzo di recente costruzione, e in buona salute, ora in procinto di essere demolito per lasciare spazio a un altro, più grande e più alto.

Mentre mi accingo a rientrare da questa inconsueta escursione, ritrovo infine il silenzio. Ma è un silenzio rumoroso che racconta la sofferenza delle vie pedonali del centro, addobbate con carta da pacco a oscurare vetrine abbandonate e a nascondere funerali di oggetti, presto dimenticati ma presto rimpiazzati da nuovi addobbi.

La presenza di lavori in corso, ovunque e sempre, ci ricorda però che questa espressione può anche essere una bella metafora della vita, capace di esprimersi in ogni nostro piccolo gesto quotidiano, custodita nella continuità dei battiti del nostro vivere, quando il desiderio di camminare oltre si intreccia e si alimenta con la memoria del passato.

I lavori in corso fotografati in questo breve racconto, sempre più pervasivi e invadenti dentro gli spazi comuni del nostro vivere, sembrano invece suggerire un’altra percezione del tempo. Ci proiettano in un tempo fermo, pur nel suo continuo agitarsi, e immobile, pur nel suo farsi e disfarsi. Ci consegnano ad un tempo frantumato e senza profondità, al suo frenetico movimento sulla superficie del presente, che non sa più riconoscere, né tantomeno desiderare, la possibilità di un un senso ulteriore. Dentro questi tempi dell’interruzione, della frammentazione, della provvisorietà, dentro queste atmosfere che si impadroniscono sempre più dei nostri vissuti, che ne è del dialogo con il nostro mondo interiore? Che ne è di quel tempo intimo che ci fa sentire e sperimentare la vita nel suo lento dipanarsi e nel desiderio di sempre camminare oltre?