L’Associazione Idra invita a una riflessione intorno alla necessità di spazi per una scena culturale indipendente
Chi l’ha detto che la divulgazione culturale debba avvenire solo all’interno di spazi (per quanto ammirevoli) perennemente istituzionalizzati? In altre parole, perché abbiamo una concezione di cultura tale per cui ogni organizzazione che si muova in questo ambito debba proporre un’offerta verticale, ossia che proviene dall’alto, e in cui la dinamica finisce per diventare unilaterale?
È una delle domande che fanno da fil rouge agli appuntamenti 10, 100, 1000 SPAZI #2, organizzati dall’Associazione Idra, il cui scopo primario è quello di innescare un dibattito propositivo intorno al tema della cultura indipendente. Forse, anche in considerazione del discutibile epilogo dell’esperienza occupazionale in quel di Lugano, che ha portato a fare sì che vi sia ancora chi, davanti al binomio cultura-indipendenza, nella migliore delle ipotesi storca il naso.
Eppure, e questo è un altro dei punti forti dell’iniziativa, è fondamentale mostrare come il Ticino sia, in questo, un’anomalia sistemica, laddove nel resto della Svizzera le esperienze di cogestione culturale abbondano. E non è (più) necessario scomodare le grandi realtà che hanno fatto la storia (spesso una storia di città messe a ferro e fuoco) e da apripista per le generazioni successive, come la Rote Fabrik di Zurigo o l’Usine di Ginevra.
Oggi, infatti, gli esempi più virtuosi – e ce ne sono tanti – li troviamo proprio in quelle cittadine che, per dimensioni e struttura, ricordano molto Lugano, Bellinzona o Locarno. Sono molteplici le realtà Oltre Gottardo che hanno stipulato una sorta di patto tra cittadine/cittadini e istituzioni, grazie al quale i primi si vedono assegnati uno spazio e riconosciuta l’autodeterminazione delle scelte culturali, mentre le seconde hanno fatto un giusto passo nella direzione di una maggiore coesione sociale, oggi più importante che mai.
Ed è così – come si è sottolineato nella cornice dell’incontro Parliamo di spazi che non ci sono ancora, andato in scena il primo marzo a Villa Saroli – che a Bienne, a disposizione della popolazione, è stato messo addirittura uno stadio. Al Terrain Gurzelen, infatti, non ci si ritrova più per tifare o controtifare una squadra, ma per organizzare concerti, mercatini delle pulci, orti comunitari, perfino un campo di mais, per creare, insomma, quei momenti aggregativi che in una società iperdigitalizzata come la nostra, ma in cui ci sente sempre più soli, sono ormai indispensabili.
A Friborgo, invece, si lavora a una nuova destinazione per il Quartiere Poya, i cui massicci e imponenti edifici un tempo fungevano da caserma militare e oggi… oggi sono diventati un foglio bianco, un’idea, la superficie di proiezione di una collettività che è stata chiamata a progettare e organizzare qualcosa di nuovo, di non istituzionalizzato e di non elitario, e proprio per questo, per tutti. (Un poco come succede nelle più moderne cooperative abitative, dove gli inquilini dicono la propria già in fase progettuale).
E da noi? Sorge a questo punto spontanea la domanda: alle nostre latitudini, come siamo messi con la cultura indipendente? Bene, ma non benissimo, verrebbe da rispondere. Bene, perché anche in Ticino vi è una massa critica che chiede spazi di questo tipo, riuscendo nel tempo anche a dimostrarne l’efficacia. Non benissimo, perché i municipi, spesso adducendo come motivazione anche quella economica, sembrano avere deciso di fare orecchie da mercante, e si impegnano troppo poco per l’individuazione di spazi consoni e utili alla cultura indipendente.
Il lavoro è ancora molto, e ce lo conferma Noah Sartori dell’Associazione Idra (di cui fanno parte operatori e operatrici culturali provenienti da varie discipline), fra i redattori della Carta della Gerra, documento programmatico in cinque punti stilato nel 2024. In esso si chiedono nuovi spazi per la cultura indipendente, un ripensamento delle modalità di assegnazione degli spazi, finanziamenti per i progetti indipendenti, un quadro legislativo aggiornato, e da ultimo – anche se sta alla base di tutti i punti che lo precedono – un riconoscimento della cultura indipendente.
La consapevolezza dell’importanza di una scena indipendente anche nel nostro Cantone, spiega Sartori, è stata rafforzata dall’esperienza della Straordinaria – Tour Vagabonde (fine dicembre 2022-marzo 2023), che ha attirato oltre 30’000 spettatori in 67 giorni, impiegato venti dipendenti, presentato 135 progetti socio-culturali, coinvolto 270 artiste/i, il tutto partendo da un contributo economico minimo con cui si è riusciti ad autofinanziare buona parte del progetto.
Che la voglia di autonomia aggregativa sia grande, non lo prova solamente la Carta della Gerra, che al 30 gennaio 2024 poteva contare su oltre 700 sottoscrizioni da parte di persone private, associazioni, gruppi e collettivi, ma anche l’accoglienza riservata agli appuntamenti di 10, 100, 1000 SPAZI #2. Fino al 22 marzo alla Limonaia di Villa Saroli, si potranno visionare 14 progetti nati dalle tesi di Bachelor 2024 del Corso di Laurea in Architettura d’Interni della SUPSI in collaborazione con l’Istituto Internazionale di architettura (i2a.ch) e con la curatela di Victoria Pham.
Alle studenti e agli studenti è stato chiesto di immaginare uno spazio per la cultura indipendente a Lugano, con un’attenzione specifica allo stabile delle ARL (Autolinee Regionali Luganesi) di Viganello, costruito nel 1910 dall’architetto Giuseppe Ferla e recentemente tutelato come bene culturale. L’8 marzo si discuterà invece delle risorse legate alla cultura indipendente con il sociologo ginevrino Sandro Cattacin.
Un dialogo che non può e non deve spegnersi e, si auspica, possa includere e coinvolgere anche chi non vede la necessità di una forma aggregativa che, per sua natura è sinonimo di una società matura, seria, e capace di autodeterminarsi attraverso processi democratici.
