Idillio e sangue

by Claudia
3 Marzo 2025

PlaySuisse - Ricordi e riflessioni sulla violenza nella Svizzera italiana di ieri e di oggi, nel documentario Nitroglicerina di Christoph Kühn

La Svizzera italiana, ai miei occhi, non è mai stata il paradiso. Certo è paradossale a dirsi. Anzi, a chi è cresciuto nelle periferie di Milano o di Roma l’affermazione sembrerà comprensibilmente ridicola: «Paese di ricchi in cui trovare una cartaccia per terra è un’impresa», si pensa. Ma nell’aria della Svizzera italiana, chissà come mai, nella mia memoria c’è sempre stata una strana violenza di fondo.

Ricordo chiaramente i rientri a ora tarda, a metà anni Novanta, con l’ultima corsa che portava in valle e il conducente inquieto per l’incalzare della ferocia che lo raggiungeva dal fondo dell’autopostale: non era tranquillizzante sapere un adulto spaventato di fronte a dei giovani. Così come ricordo, quando ero ancora più piccolo, l’ambiente avvelenato degli spogliatoi di hockey, dove i ragazzi si aizzavano a vicenda ben oltre il limite. Può sembrare esagerato, ma lo ricordo.

Così come ricordo, ancora negli anni Novanta, una nota strage a mano armata, accoltellamenti in centro città e, successivamente, nel primo decennio del 2000, la tragedia di Damiano Tamagni, durante il Carnevale di Locarno, quando il ragazzo fu pestato a morte da dei coetanei. Il tutto lo ricordo, bene o male, condito dall’avvento dell’ecstasy, dei canapai e del consumo incontrollato di stupefacenti (ai quali andrebbero aggiunti i ricoveri coatti e i suicidi). Lo ripeto: la Svizzera italiana non mi è mai sembrata il paradiso. Ma, in fondo, quale posto lo è?

L’aggressività umana è un fatto connaturato col quale occorre fare i conti. Negarla non serve. Parlarne, darle forma in modi altri, capaci di confinarne la spinta, è il solo modo – seppure limitato – di cercare di tenerle testa. La visione di Nitroglicerina, documentario con parti drammatizzate di Christoph Kühn che, prendendo le mosse dal romanzo Breve trattato sui picchiatori nella Svizzera italiana degli anni Ottanta (Laurana Editore, 2021) di Manuela Mazzi (la quale ha pure collaborato alla scrittura del film), racconta del fenomeno della violenza di gruppo, è certo utile per chinarsi sulla questione della nostra purtroppo sostanziale porzione di autodistruttività. Un modo di stare sul pezzo, come si suol dire; di investire di significato le cose brute.

A fare da filo rosso troviamo la storia dell’ex-pugile e allenatore Roger Brunschweiler, intrecciata a quella di Rolando, per ragioni di privacy qui ottimamente interpretato da Nicola Stravalaci, e di Cristina – il cui ruolo, come per il caso di Rolando, è affidato a un’attrice: Maria Ariis – e di alcuni di quelli che, nell’epoca della simbolica pubblicazione, in Italia, di Ranxerox (fumetto underground, oggi considerato un classico, che vede come protagonista il celebre robot «coatto» realizzato coi pezzi di una fotocopiatrice) si menavano in banda nell’apparentemente pacifica Locarno.

A queste voci si aggiungono quella di Jean Claude Rothenbühler, dal quale veniamo a conoscenza sia delle pratiche sadiche di queste torme sia dei nomi di chi, allora, si investiva del ruolo di giustiziere difendendo i più deboli; quella dell’ex magistrato dei minorenni Reto Medici, che ci riporta all’attualità, dove il medesimo tema è intriso dalla tossicità della digitalizzazione di massa; quella dello psicoanalista Luigi Zoja, le cui riflessioni mettono in evidenza la perenne necessità, nell’individuo, di una messa in forma di conflitti ritualizzati (come nel caso della boxe); quella di Tanino Liberatore, autore del sopraccitato Ranxerox e, infine, quella di Purple Dom, giovane rapper luganese che, oggi, racconta il malessere e la rabbia della sua generazione.

Se, come asseriva la psicoanalista Françoise Dolto, la violenza inizia quando finiscono le parole, ecco che con Nitroglicerina Christoph Kühn cerca di mettere parole proprio laddove queste sono considerate secondarie, «roba da pappamolla», ribadendo la necessità per ogni civiltà che si consideri degna di questo nome dell’assunzione della responsabilità dei fatti attraverso la realizzazione di un discorso e di una presa di posizione. Come si sarà capito, la visione è consigliata.