Quando le piramidi non bastano più

by azione azione
17 Novembre 2025

Assisto – quasi impossibile sottrarvisi – alla faraonica inaugurazione del Grande museo egizio (Gem) del Cairo, definito, un po’ alla Jovanotti, «il più grande museo al mondo dedicato alla civiltà dei faraoni». Infatti, come ha spiegato il direttore Ahmed Ghoneim, l’obiettivo è duplice: il nuovo museo dovrà diventare un luogo di incontro e cooperazione tra studiosi, restauratori e istituzioni museali di tutto il pianeta, ma anche e soprattutto uno «hub» culturale e turistico internazionale. A giudicare dagli sforzi profusi anche solo nella presentazione, è chiaro che il Governo egiziano punta a qualcosa che superi il British Museum di Londra (che custodisce uno dei reperti più rappresentativi della civiltà dei faraoni, la Stele di Rosetta) e il Museo egizio di Torino, entrambi sempre più confrontati a non più velate accuse collegate a un colonialismo europeo che contemplava anche colossali appropriazioni di monumenti e furti d’arte. Costato oltre 1 miliardo di dollari, il Gem del Cairo ha le carte in regola per funzionare da richiamo culturale e diventare motore economico e turistico di portata mondiale, tanto da garantire all’Egitto una sorta di ricambio del ruolo sinora ricoperto dalle piramidi e dai templi lungo il Nilo, più che dal vecchio museo esistente nella capitale. E non è certo per caso che la grande costruzione è stata progettata e costruita quasi come una moderna piattaforma a ridosso dei monumenti funerari costruiti per i faraoni.

Quasi in contemporanea, a Parigi, uno spettacolo pirotecnico annunciava invece la chiusura del Centro Pompidou (temporanea, ma per un lungo lasso di tempo). Cito questa somiglianza per diversi motivi. Innanzitutto perché il monumentale edificio parigino, creato dal progettista Renzo Piano unitamente ad altri architetti, è anch’esso un museo voluto oltre trent’anni fa per fornire un richiamo cultural-turistico moderno che nella capitale francese si aggiungesse a quelli ormai antichi del museo del Louvre, della Torre Eiffel e della cattedrale di Notre-Dame. Un secondo motivo è dato dalla decisione di procedere a un rifacimento (il secondo, il primo era avvenuto nel 1997, vent’anni dopo l’inaugurazione). La scelta delle autorità francesi, oltre a essere un segnale forte di continuità per il futuro del turismo parigino, consente di scoprire che il binomio arte-turismo presenta anche lati negativi, legati a usura e inquinamento. L’accoglienza di quotidiane orde di visitatori rende inevitabile costruire o ampliare aeroporti, allargare strade e parcheggi, reperire alloggi, muovere aerei e automezzi causando un «affaticamento» non solo dei siti e degli stessi monumenti ma anche della vivibilità e delle libertà delle popolazioni autoctone. In altre parole, se la libertà di spostamento è praticamente diventata uno dei diritti dell’umanità, in parallelo l’offerta turistica ha assunto dimensioni insostenibili per i problemi e i danni che causa.

Le insofferenze più forti si registrano in alcune grandi città ricche di patrimoni artistici costrette a combattere l’iperturismo con pedaggi di entrata o limitazioni dei pernottamenti brevi. Anche se sempre più globalizzato (e demonizzato) l’iperturismo non ha però solo effetti negativi. Chi studia il fenomeno e le varie scelte messe in atto dai governanti, tra gli esempi più contrastanti cita il Museo Guggenheim di Bilbao: un edificio che non assomiglia a niente, men che meno a un museo, che praticamente non custodisce opere d’arte ma è esso stesso un’opera d’arte, frutto di un’operazione concepita da americani, trapiantata in Spagna per mostrare la nuova identità della cultura basca! Eppure, nonostante queste stranezze, il sito progettato dall’architetto Frank O. Gehry funziona alla grande: il polo museale attira milioni di visitatori ed è un elemento importante dello sviluppo socio-economico dell’intera regione basca. Altro caso, ancora in Spagna, a Barcellona, dove la Sagrada Familia, la monumentale basilica dell’architetto Gaudì, dopo oltre 150 anni sta giungendo finalmente a compimento grazie soprattutto alla spinta che ogni anno ha ricevuto da milioni di turisti che la visitavano, benché incompiuta e praticamente spoglia, perché inserita in circuiti culturali che riguardavano le opere del grande architetto spagnolo. Due esempi che, oltre a confutare l’immagine di un turismo moderno legato solo consumo e commercio, confermano come gli stereotipi sovente abbiano effetti inattesi.