Mamdani sogna di cambiare le regole a New York

by azione azione
3 Novembre 2025

Zohran Mamdani è la scintilla che ha acceso la sinistra americana dopo la batosta trumpiana di un anno fa, che aveva annichilito la candidata del Partito democratico, Kamala Harris, e le certezze di una parte politica che pensava di poter mantenere la presa su un segmento del suo elettorato. La vittoria di Trump nel 2024 non ha solo riportato alla Casa Bianca un presidente capriccioso e imprevedibile, ma ha anche segnalato uno smottamento di voti verso destra nei luoghi e nei segmenti elettorali che erano sempre stati di sinistra. Uno di questi luoghi è proprio New York, al tempo stesso roccaforte dei democratici e terra di Trump, un insieme di contraddizioni e opportunità, immagine dell’America e sua deformazione. Ecco perché l’arrivo sulla scena politica di Mamdani, candidato sindaco della città citata, ha avuto una risonanza inusuale, come se il 4 novembre, giorno delle elezioni, si dovesse decidere una via per il futuro, una via di luce, promesse e novità o il suo contrario.

Zohran Mamdani ha 34 anni, è nato a Kampala, in Uganda, da genitori di origine indiana che sono celebri: il padre Mahmood è un professore della Columbia University esperto in studi post-coloniali; la madre è Mira Nair, regista pluripremiata, il suo Monsoon Wedding ha vinto il Leone d’oro a Venezia nel 2001. Ha vissuto i suoi primi anni in Sud Africa e poi è arrivato in America, è andato ad abitare a Morningside Heights, il quartiere dell’Upper West Side di Manhattan contiguo alla Columbia. Musulmano, appassionato di studi africani come suo padre, e di musica, hip hop e rap, Mamdani è arrivato alla politica all’inizio degli anni Venti e lì si è fermato, facendosi portavoce dell’impostazione della sinistra più radicale, quella che il presidente Trump definisce sprezzante «comunista al 100%».

L’establishment newyorchese – lo stesso che, come detto, produce grandi ricchezze, Trump ed esperimenti politici socialisti – lo ha guardato con diffidenza e – sbagliando – lo ha considerato una meteora, uno bravo sui social, amatissimo da quei giovani che poi, quando c’è da votare, hanno altro da fare. Mamdani è un’altra cosa, ben più potente, e lo si capisce se lo si colloca nella disperazione generalizzata che affligge il Partito democratico nella sua interezza, spaccato a metà tra moderati e radicali e allo stesso tempo alle prese con quel mostro politico che è l’attuale inquilino della Casa Bianca. Così ha vinto le primarie di giugno con un vantaggio eclatante di quasi 13 punti percentuali, ma è quel che è avvenuto dopo a spiegare che cosa rappresenta oggi Mamdani. Mentre tutti noi ci lasciavamo contagiare o indispettire dalla straordinaria capacità comunicativa del giovane socialdemocratico, dai suoi video su TikTok, dalle sue proposte radicali e irrealizzabili (come il congelamento del prezzo degli affitti o il trasporto gratuito), lui ha lavorato anche per tessere la trama indispensabile a chi vuole guidare New York, quella con il grande business – terrorizzato dal suo profilo socialista – e quella con la politica d’establishment.

Due persone in particolare hanno collaborato con Mamdani: Patrick Gaspard, un democratico pro business che lavorava nell’Amministrazione Obama e ora dirige il Comitato nazionale del Partito democratico, e Sally Susman, dirigente aziendale, attiva nei comitati finanziari per le campagne presidenziali di Obama, Hillary Clinton e Biden. Susman lo ha contattato dopo l’incontro del candidato sindaco, a luglio, con la Partnership for New York City, un consorzio di 350 membri che rappresentano banche, studi legali e aziende della città. Come ha scritto sul «New York Times» Astead Herndon, che ha seguito la campagna elettorale negli ultimi mesi, la nuova trama si può definire il «Mamdani 2.0», quello che smussa gli spigoli: il candidato sindaco ha chiarito che vuole sostenere gli affittuari, non punire i proprietari, che vuole sostenere l’istruzione pubblica, non massacrare le cosiddette scuole dell’élite, che sostiene i diritti dei palestinesi ma non è anti-sionista, che la città ha bisogno della polizia e quindi va finanziata non depauperata… È questo Mamdani che si presenta alla sfida contro Andrew Cuomo, ex governatore dello Stato di New York caduto in disgrazia per via del «MeToo», già sconfitto alle primarie di giugno, e contro il candidato dei repubblicani, quel Curtis Sliwa che persino molti compagni di partito non vorrebbero nemmeno si presentasse alle urne perché è troppo debole per vincere e rischia di frammentare il voto anti-Mamdani. I sondaggi danno il giovane candidato in vantaggio, ma molti moderati non sanno se fidarsi della sua nuova versione, forse è soltanto una «toppa» su una trama tutta diversa.