Bad Bunny e lo spettro dell’ICE

by azione azione
13 Ottobre 2025

«Absolutely ridiculous». Con queste lapidarie (quanto poco insolite) parole il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è intervenuto in una diretta tv per liquidare la scelta di affidare il prestigiosissimo Super Bowl halftime show all’artista portoricano Bad Bunny (alla lettera, Coniglio cattivo, all’anagrafe Benito Antonio Martínez Ocasio). Mancano più di quattro mesi alla finale del Campionato della National Football League, evento sportivo-mediatico per eccellenza, che si terrà in California e che può contare su oltre 130 milioni di spettatori, trasformandosi così potenzialmente anche in una dichiarazione politica, eppure Oltre Oceano già si scaldano gli animi, e il presidente in persona scende in campo per condannare la scelta artistica degli organizzatori.

Bad Bunny potrà essere un concetto astratto per Donald Trump, per i suoi coetanei, per la sua amministrazione e per chiunque la sostenga, ma di sicuro non lo è sia per i latinos sia per la generazione Z di mezzo mondo. Purtroppo, agli occhi dei detrattori, il rapper – che ha un numero di ascoltatori maggiore al numero degli elettori di Trump – ha dalla sua un grande difetto, anzi due, non è «americano», ma portoricano (per quanto Porto Rico sia uno Stato associato agli USA), e, soprattutto canta in spagnolo, quando, di lingua ufficiale in America, dicono i MAGA, ce n’è solo una, ed è l’inglese.

Bad Bunny è ben conscio di cosa rappresenti la sua appartenenza culturale in questo periodo, e dall’alto di questa sua consapevolezza ha deciso, nel momento di organizzare il suo tour mondiale, di escludere gli Stati Uniti, con un danno economico notevole per tutte le parti coinvolte.

La sua decisione non è da addursi solamente a un segnale di protesta, ma anche a un senso di protezione verso i suoi, ossia quella sterminata comunità latina che, frequentando un concerto del proprio idolo rischia di incappare nelle maglie dell’ICE (U.S. Immigration and Customs Enforcement), la temuta agenzia federale statunitense che si occupa di applicare le leggi in materia di immigrazione, incaricata di prendere in custodia almeno 3mila cittadini considerati illegali al giorno.

Gli agenti di ICE si rivelano molto efficienti, non disdegnando, per i loro sequestri, la forza bruta (sottolineata da passamontagna e occhiali neri) esercitata in supermercati, associazioni religiose e scuole: uno stadio gremito di latinos non può dunque che fare gola. Di fatto, all’annuncio del concerto del portoricano in occasione del Super Bowl, la segretaria della Sicurezza Interna degli Stati Uniti d’America Kristi Noem, ha assicurato che gli agenti ICE «saranno ovunque». Per farsi un’idea dei metodi e delle procedure degli agenti ICE, basta guardare in rete ciò che succede in questi giorni in molte città statunitensi.

Oltre al colore della pelle, costituisce un discrimine anche l’idioma utilizzato, oggi negli Stati Uniti ci si aspetta che si parli l’inglese, non lo spagnolo – che sollievo pensare per un attimo alle nostre quattro lingue ufficiali, in un contesto politico che (per ora, poiché nulla è scontato, come dimostrano i tempi attuali) garantisce equità e rispetto delle minoranze.

Bad Bunny non cambierà lo stato dell’arte con il suo concerto, ma la sua è una resistenza che potrebbe, in un futuro prossimo o lontano, essere presa a esempio proprio da quella Generazione Z che si muove sulla scia dei social e che ha creato disordini in Nepal e ora ne sta facendo nascere di nuovi in Marocco.