La fine dell’impero britannico

by Claudia
11 Novembre 2024

Il vertice del Commonwealth ha reso ancor più evidente come la monarchia abbia perso smalto dopo la morte di Elisabetta

La parola che troneggia, nella relazione tra Londra e gli ex Paesi dell’impero britannico, è «risarcimento». Per lo schiavismo e per lo sfruttamento delle risorse in epoca coloniale, due fattori che hanno impoverito i colonizzati e arricchito i colonizzatori. Solo che le cifre richieste sono enormi e la logica secondo cui questa colpa sia quantificabile tutt’altro che condivisa. Keir Starmer, premier laburista con uno spiccato senso della giustizia, è tornato dal vertice di Samoa di fine ottobre deciso a non cedere terreno al concetto, che non doveva neppure essere in agenda ma che ha fatto capolino nel comunicato finale firmato dai 56 Paesi ex coloniali. Alle prese con il tentativo di preservare le rovine dell’impero ereditate dalla madre Elisabetta, anche re Carlo era presente, reduce da una visita ufficiale in Australia dove ha ricevuto dei fischi molto pubblicizzati ma che, alla fine, è andata bene, forse anche per rispetto delle sue condizioni di salute, visto che ha interrotto le cure per poter viaggiare e cercare di sedare le pulsioni repubblicane in uno dei Paesi più importanti tra i 14 di cui è capo di Stato. Starmer è arrivato a Samoa dopo delle piogge monsoniche. In seguito a lunghi negoziati ha dovuto sottoscrivere un testo finale in cui i leader dei Paesi ex coloniali hanno scritto che «è giunto il momento di avere una conversazione significativa, onesta e rispettosa per formare un futuro basato sull’equità». Anche senza specificarlo, significa solo una cosa: soldi, compensazioni, risarcimenti per lo schiavismo. Il premier, che poche settimane prima aveva suscitato polemiche tra i conservatori per la decisione di restituire a Mauritius la sovranità delle isole Chagos, dove c’è una base militare britannica e americana, ha detto di «capire la forza dei sentimenti», ma di voler «guardare avanti, non indietro», specificando che «il Regno Unito ritiene che il modo più efficace per mantenere uno spirito di rispetto e di dignità sia di lavorare insieme per fare in modo che il futuro non sia all’ombra del passato, ma che ne venga illuminato». Anche perché si parla di un minimo che va da 250 miliardi a un massimo di oltre 20mila miliardi, cifre impossibili da onorare ma anche capaci di creare un precedente ingestibile. Anche se è una questione il linea con lo Zeitgeist, come si fa a risanare ogni torto?

Il premier ha insistito che sono stati «due giorni molto positivi», tra discorsi sul clima e sulla resilienza, ma non avrebbe apprezzato il lavoro del ministro degli Esteri David Lammy, che non ha parato il problema. La pressione dei Paesi caraibici è stata forte, anche se Downing Street ha ribadito che «nessuna delle discussioni è stata sui soldi, la nostra posizione in materia è stata molto chiara». Però se ne è parlato nelle riunioni, che si sono protratte nel tentativo di trovare una formulazione del comunicato finale accettabile anche per Londra. Tutti i candidati alla posizione di presidente del Commonwealth hanno sostenuto l’idea delle riparazioni e hanno chiesto le scuse della monarchia per la tratta degli schiavi. Alla fine, ha prevalso la candidatura della ministra degli Esteri del Ghana, Shirley Botchwey, che sembra più interessata alla cooperazione allo sviluppo e al tema del clima che non alla giustizia riparativa. Ma se questo tipo di battaglie si porta avanti passo dopo passo, quello del vertice di Samoa è stato sicuramente un momento a modo suo storico. E anche nel Regno Unito molti deputati britannici di area corbyniana hanno accusato Starmer di avere una «mentalità coloniale» per il fatto di non voler parlare di risarcimenti.

L’incontro con i capi di Governo dei 56 Paesi si tiene ogni due anni e sebbene gli argomenti siano spesso un po’ vacui – quest’anno erano cose come «Un futuro comune resiliente: trasformare la nostra ricchezza comune» – di vacuità in vacuità i legami diplomatici si rinsaldano e le opportunità di dialogo pure. È pur sempre un club molto ampio, con un terzo della popolazione mondiale, e farne parte è utile a tutti. Allo stesso tempo per il Regno Unito post-Brexit è un forum naturale in grado di mantenere un certo livello di connessione con altri Paesi ma anche di aprire un mercato promettente: nella mente talvolta confusa dei brexiteer il Commonwealth è sempre stata l’alternativa naturale alla Ue. Anche se non è così, mollare la presa sulle ex colonie aprirebbe la strada a chi è pronto a sostituirsi, come la Cina. La vicenda delle Chagos era delicata perché Mauritius ha forti legami con Pechino, che l’anno scorso ha stretto anche un accordo di cooperazione con le isole Solomon, e non importa se questo garantisce che sull’isola di Diego Garcia possa restare una base militare britannica per i prossimi 99 anni. Non solo: il premier indiano Narendra Modi e il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa non sono andati a Samoa ma hanno preferito Kazan, dove il presidente russo Vladimir Putin ospitava una riunione dei Brics, alla presenza del cinese Xi Jinping. Anche lo Sri Lanka ha preferito andare lì. A Samoa il Canada ha mandato solo l’alto commissario nel Regno Unito, a riprova di quanto sia stato un incontro complesso per la delegazione britannica.

Anche la monarchia perde smalto un po’ ovunque, dopo la morte di una sovrana amatissima come Elisabetta II. Barbados è diventata una repubblica nel 2021 e la Giamaica conta di seguire le sue orme l’anno prossimo. Il viaggio di Carlo e Camilla in Australia è stato segnato dal grido di una senatrice indigena, Lidia Thorpe, che ha urlato «non il mio re!» e ha chiesto di «ridare quello che ci hai rubato, le nostre ossa, i nostri teschi, i nostri bambini, la nostra gente». Però, sebbene il tema sia ampiamente dibattuto, alla fine solo il 33% degli australiani vuole vivere in una repubblica, oltre al fatto che il sistema referendario è complesso e difficilmente asseconda gli umori superficiali. Re Carlo ha promesso che tornerà a viaggiare molto dal 2025 e ha lasciato scivolare una parola importante: il passato è stato painful, doloroso, e questo non si può dimenticare.