Viaggio nell’era del disordine economico

by azione azione
17 Novembre 2025

Sergio Rossi, futuro ospite di un ciclo di conferenze al Liceo di Lugano 2, parla dei problemi delle banche centrali

Per natura, donne e uomini cercano di dare un senso al mondo in cui vivono. Senza questa chiave di lettura, dice Elsa Morante, rischierebbero di precipitare nella follia. Per dare voce a questo desiderio di comprensione, la Commissione cultura del Liceo di Lugano 2 propone un ciclo di conferenze dal titolo «Crisi e conflitti del presente, la ricerca della ragione nell’età dell’incertezza» nella Biblioteca dell’istituto, ore 18.15. Tra i relatori anche Sergio Rossi (23 febbraio 2026), professore ordinario di macroeconomia e di economia monetaria all’Università di Friburgo, che abbiamo intervistato (qui la prima puntata).

Che cosa intende quando parla di «disordine economico»? Quali ne sono le cause principali?

«Si tratta di un disordine di carattere monetario sul piano internazionale, dove il dollaro statunitense è una promessa di pagamento che permette agli Stati Uniti di vivere oltre le loro possibilità finanziarie, visto che il resto del mondo accetta questa promessa quando vende dei beni, dei servizi o dei titoli finanziari a dei soggetti economici americani. Le cause principali di questo disordine risalgono al 1944, quando i rappresentanti politici di 44 Nazioni firmarono gli accordi di Bretton Woods, istituendo così un regime monetario internazionale al centro del quale fu posto il dollaro statunitense. Questo regime, come spiegò l’economista francese Jacques Rueff negli anni Cinquanta del Novecento, consente agli Stati Uniti di avere un privilegio esorbitante, ossia di acquistare dal resto del mondo senza dare nulla in cambio, poiché i dollari usati per pagare le importazioni statunitensi rimangono nelle banche di quel Paese. I disavanzi commerciali statunitensi sono perciò senza lacrime – come ben disse Rueff – per l’economia americana, visto che si tratta di una posizione contabile senza alcun impatto negativo per la Nazione nel suo insieme».

Perché, secondo lei, la Banca nazionale svizzera «segue manuali sbagliati»?

«In generale tutte le banche centrali, non solo la Banca nazionale svizzera, identificano l’inflazione con l’aumento dei prezzi al consumo, mentre in realtà questo aumento ne è soltanto il sintomo più evidente. In effetti l’inflazione è la perdita di potere d’acquisto della moneta nazionale, che risulta dall’eccessiva concessione di credito da parte delle banche rispetto al volume del reddito nazionale prodotto nel periodo considerato. Non tutti gli aumenti dei prezzi sono infatti dovuti all’inflazione, come si è ben visto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, quando diverse aziende hanno aumentato i loro prezzi di vendita ben oltre l’aumento dei loro costi di produzione. Le banche centrali credono che l’inflazione sia dovuta a un eccesso di domanda nel mercato dei prodotti e, perciò, aumentano i tassi di interesse per ridurre questa domanda, causando un rallentamento delle attività economiche che contribuisce a creare disoccupazione, senza veramente toccare i fattori all’origine dell’aumento dei prezzi al consumo. Questi ultimi sono addirittura spinti ulteriormente al rialzo da tale politica monetaria, perché le aziende che devono pagare dei tassi di interesse maggiori per ottenere dei prestiti bancari trasferiranno sui prezzi di vendita dei loro prodotti questi loro maggiori oneri finanziari».

Qual è il ruolo ideale di una banca centrale?

«Come disse un famoso economista americano, la banca centrale e il Tesoro pubblico devono essere considerati come la moglie e il marito in un’economia domestica, vale a dire che devono coordinare le loro scelte per il bene comune di questa economia. Questo significa pure che la banca centrale deve acquistare le obbligazioni emesse dal Tesoro pubblico per coprire i disavanzi dello Stato quando vengono effettuati degli investimenti pubblici. Questi investimenti portano benefici anche alle generazioni future, che dovranno quindi contribuire pagando le imposte. In questo modo lo Stato potrà rimborsare il debito contratto per finanziare tali opere. Inoltre, le scelte di politica monetaria da parte delle banche centrali hanno numerosi effetti distributivi, per quanto riguarda sia il reddito sia la ricchezza, visto che i tassi d’interesse influenzano entrambe queste grandezze, ragione per cui tali scelte devono considerare questi loro effetti nell’economia nazionale, oltre al loro impatto sul clima per i danni ambientali legati ai crediti che le banche concedono alle aziende».

Quali lezioni dovremmo trarre dalla crisi legata a Credit Suisse del 2023?

«La lezione più importante, che però non è stata considerata in alcun modo, è dettata dal fatto che le banche – diversamente dalle altre istituzioni finanziarie – non necessitano di fondi per concedere dei prestiti. Sono i prestiti bancari a originare i depositi nel sistema bancario, motivo per cui le banche non hanno alcun vincolo di bilancio e, quindi, possono aprire delle linee di credito per tutte le operazioni che ritengono profittevoli per i loro affari. Bisognerebbe perciò suddividere la contabilità bancaria in due dipartimenti, tramite i quali rendere esplicite le concessioni di credito che non formano alcun reddito nell’insieme dell’economia nazionale, in modo da limitarne l’importo ai risparmi che le banche hanno raccolto, evitando così di rigonfiare delle bolle creditizie che possono poi scoppiare e creare danni all’intero sistema economico. Bisognerebbe anche scorporare i rami di attività della banca d’investimento da quelli legati alla concessione di crediti, al fine di evitare un conflitto d’interessi ben evidenziato da un giudice della Corte suprema statunitense, Louis D. Brandeis, nel 1914: i colossi bancari sono su entrambi i lati della medesima transazione finanziaria, visto che consigliano le aziende sul prezzo di vendita delle loro azioni per poi comprare queste azioni al prezzo che hanno loro suggerito».

Ritiene che il sistema bancario svizzero sia sufficientemente regolato per evitare nuove crisi?

«L’attuale regolamentazione, in Svizzera come altrove, si limita a vincolare le scelte di carattere finanziario delle banche di importanza sistemica all’accantonamento di fondi propri e di liquidità in base ai crediti concessi da questi istituti. Si dovrebbe invece attuare una regolamentazione di ordine sistemico anziché solo comportamentale: tutte le banche che concedono dei prestiti per attività che non generano reddito nel sistema economico – vale a dire per le transazioni puramente speculative – dovrebbero poterlo fare solo nella misura in cui dispongono dei finanziamenti necessari per farlo e senza dunque abusare della loro capacità di creare denaro dal nulla. Se poi guardiamo alla percentuale di fondi propri delle banche di importanza sistemica, appare evidente che si tratta di una percentuale insufficiente per evitare una crisi di portata strutturale nel caso in cui un istituto di queste dimensioni sia in gravi difficoltà. Chi vuole ottenere un mutuo ipotecario deve avere almeno il 20% di fondi propri, ma una banca di importanza sistemica deve rispettare una percentuale assai inferiore per svolgere delle operazioni molto più rischiose dell’acquisto di una casa».Â