Una retrospettiva a Palazzo Reale ripercorre la vita anticonformista dell’artista, dagli esordi surrealisti agli anni messicani, fino alla riscoperta contemporanea del suo immaginario visionario e ribelle
«Bisogna avere il coraggio di rompere il cubo ordinato delle idee, di precipitarsi verso la confusione primordiale»: la vita e il pensiero di Leonora Carrington, pittrice, scultrice, scrittrice e drammaturga britannica, sono perfettamente condensati in questa sua asserzione.
La personalità esuberante, eclettica e avanguardistica di questa artista del XX secolo ha generato un universo multiforme sospeso tra realtà e visionarietà, capace di toccare, e in molti casi anticipare, alcune delle tematiche più incalzanti dell’epoca contemporanea. La dimostrazione di ciò è l’importante risonanza postuma che il lavoro di Carrington ha avuto di recente, quando la Biennale di Venezia del 2022 ha preso in prestito l’evocativo titolo Il latte dei sogni da uno dei racconti magici dell’artista.
Espressione di una miriade di discipline e conoscenze mescolate tra loro – dalla magia alla mitologia, dall’alchimia alla politica, dal folklore alla psicologia, dall’esoterismo all’astrologia – la ricerca di Carrington è caleidoscopica, densa, radicale.
Emblema della donna libera di usare la propria immensa immaginazione, pioniera del femminismo e dell’ecologia, Carrington non si è mai piegata ai ruoli che il suo tempo le imponeva, tracciando un percorso che ha fatto dell’autodeterminazione il proprio fondamento.
Tutto ciò è evidente fin dalla prima fase della sua esistenza, quando, durante l’agiata infanzia vissuta nel Lancashire, Carrington manifesta già segni di ribellione nei confronti delle norme sociali, facendosi espellere da diversi collegi cattolici e rifiutando i tentativi della famiglia di introdurla nell’alta società britannica. Dopo gli studi in Italia, entra in contatto con i surrealisti, fuggendo nel 1937 a Parigi con Max Ernst: lei ha solo vent’anni, lui quarantasette. Tra loro nasce un amore intenso, ostacolato però dal bigotto padre che arriva anche a denunciare Ernst con l’accusa di avere realizzato un’opera pornografica.
Con il pittore surrealista, Carrington va a vivere a Saint-Martin-d’Ardèche, nel sud della Francia, ma quando, con l’inizio della guerra, Ernst, di origine tedesca, viene incarcerato dalle autorità francesi, il loro idillio si trasforma in un’angoscia senza fine. Nel 1940, sconvolta dalla guerra e dalla solitudine, l’artista fugge in Spagna. A Madrid è vittima di uno stupro da parte dei soldati franchisti a seguito del quale ha una grave crisi e viene ricoverata all’ospedale psichiatrico di Santander, dove è sottoposta a trattamenti durissimi. Un tragico evento, questo, che la stessa artista racconta nel libro Down Below.
A portarla in America è un matrimonio di comodo celebrato nel 1941 con lo scrittore Renato Leduc, grazie al quale si allontana dall’Europa in fiamme approdando prima a New York e poi in Messico. Qui inizia per lei una vita più serena accanto a Emerico «Chiki» Weisz, ebreo ungherese grande amico di Robert Capa con il quale vivrà per più di sessant’anni.
L’arte di Carrington ci parla di tutto questo: della sfida agli stereotipi, della resilienza, della ricerca continua dell’emancipazione, della capacità di trasformarsi, di convertire il dolore in creatività e di inventare un’esistenza alternativa in cui far confluire il bisogno estremo di libertà.
Specchio della sua vita, la pittura di Carrington è una dimensione governata dalla metamorfosi e dall’affrancamento da ogni convenzione. È un luogo in cui le norme della realtà e della morale tradizionale vengono sovvertite e in cui ironia e magia si fondono per ridefinire i ruoli di genere, le gerarchie sociali e le strutture del potere. Creature fantastiche, simboli alchemici ed esseri mitologici diventano così strumenti per indagare la condizione umana permettendo l’accesso all’inconscio degli individui e agli enigmi della natura.
A testimoniare la peculiarità della vicenda professionale e umana dell’artista è l’importante retrospettiva ospitata a Palazzo Reale a Milano. La mostra è strettamente legata alla rassegna che il museo meneghino ha dedicato pochi mesi fa a Leonor Fini, della quale Carrington è stata grande amica e con la quale ha condiviso lo stesso approccio anticonformista alla vita nonché la medesima cifra stilistica dalla fantasia traboccante.
I dipinti, i disegni, le fotografie e i materiali d’archivio raccolti nell’esposizione restituiscono lo spessore di questa figura che in Messico è celebrata come una delle artiste più rilevanti, al pari di Frida Kahlo e Remedios Varo, e che anche alle nostre latitudini sta conquistando il posto che merita nella storia dell’arte moderna e contemporanea.
Le opere in mostra seguono un percorso costituito da sei momenti salienti del viaggio artistico ed esistenziale di Carrington, lasciandone trasparire la complessità e l’originalità.
I lavori che appartengono al periodo di formazione dell’artista sono già permeati da una componente affabulatoria capace di ibridare elementi provenienti da molteplici ambiti della conoscenza e di collocarli in un’atmosfera sognante ed ermetica. D’altra parte l’immaginario di Carrington è alimentato sin dall’infanzia dalla letteratura fantastica e dalle storie sui miti celtici che la madre e la tata, entrambe irlandesi, le raccontavano di continuo. A completare la sua educazione è poi un viaggio a Firenze negli anni Trenta, grazie a cui l’artista assorbe la lezione dei maestri italiani del Trecento e del Quattrocento, in special modo, non a caso, la realtà fiabesca di Paolo Uccello.
Ben documentato in rassegna è il periodo in cui Carrington inizia a forgiare un suo stile personale all’interno del contesto surrealista, sviluppandolo poi durante la sua intensa relazione con Max Ernst in Francia e nei successivi anni di esilio a New York. Sono presenti ad esempio i lavori eseguiti per la casa condivisa con Ernst nel villaggio di Saint-Martin d’Ardèche, una vera e propria opera d’arte totale che è piena espressione del loro rapporto sentimentale e creativo. Dipinti come Garden Bedroom, del 1941, invece, rappresentano una fase più matura del linguaggio dell’artista, segnata dalla tragica esperienza della guerra e dello sradicamento.

Orplied, 1955, (Colección Banco Nacional De México © Estate of Leonora Carrington, by SIAE 2025)
Quando, nel 1942, Carrington arriva in Messico, Paese dove vivrà per il resto della sua esistenza, nei lavori da lei realizzati riaffiorano i ricordi infantili e le memorie legate a luoghi ormai lontani. Le opere di questo periodo mostrano chiaramente l’influenza della pittura rinascimentale italiana, che riporta l’artista alla sua formazione fiorentina, così come il bisogno di rievocare con pacata nostalgia le proprie origini attraverso scene familiari, pastorali e oniriche.
L’amplissimo raggio di interessi di Carrington è al centro di due sezioni che mettono in evidenza la sua attitudine a esplorare tradizioni spirituali antiche e moderne nonché la sua fascinazione per l’occulto. L’artista studia lo gnosticismo e la cabala, approfondisce figure quali Platone, Buddha e Zaratustra, entra in contatto con le idee del mistico Georges I. Gurdjieff (come rivela il dipinto Under the Compass Rose del 1955) e riscopre conoscenze quali l’alchimia e l’esoterismo, considerate strumenti di un sapere alternativo e trasformativo.
L’ultimo nucleo tematico dell’esposizione milanese è tra i più significativi e ruota attorno al dipinto Grandmother Moorhead’s Aromatic Kitchen del 1974, in cui alcune misteriose creature preparano tortillas intorno a un tavolo osservate da una gigantesca oca e da una strega. Intrisa di innumerevoli fonti di ispirazione sovrapposte, quest’opera fa della cucina, luogo abitualmente associato al lavoro femminile, uno scenario in cui le donne possono reclamare il loro potere attraverso la pratica magica e rituale. Così come per molte questioni che Carrington ha affrontato nei novantaquattro anni della sua vita, anche il femminismo ha trovato in lei una modalità di espressione peculiare, fondata sulla promozione dell’autonomia della donna in una visione armoniosa dell’universo ispirata ai principi dell’alchimia. Vale a dire sulla trasmutazione interiore di ciò che nell’essere umano è negativo in qualcosa di positivo.
Dove e quando
Leonora Carrington. Palazzo Reale, Milano. Fino all’11 gennaio 2026. Orari: da martedì a domenica 10.00 –19.30; giovedì chiusura alle 22.30. www.palazzorealemilano.it
